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Questo articolo è stato pubblicato il 01 novembre 2011 alle ore 07:30.
L'ultima modifica è del 01 novembre 2011 alle ore 07:42.

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Al termine di una giornata drammatica ci si domandava ieri sera cosa deve ancora accadere nei prossimi giorni e settimane. Il presidente della Repubblica non si limita più a suggerire coesione.

Le sue parole sono ormai un grido d'allarme rispetto a una minaccia urgente. Una minaccia di fronte alla quale rischiamo di essere impotenti, cioè «inadeguati», prigionieri di «debolezze strutturali» di cui paghiamo il prezzo al mercato dei titoli di Stato.

Volano gli spread e con loro i tassi d'interesse: un nodo scorsoio che annienta ogni speranza di contenere il debito e liberare qualche risorsa per dare respiro all'economia reale.

Ancora Napolitano: «Si avverte acuto il bisogno di più cultura delle istituzioni, di più senso delle istituzioni, di più attenzione all'esercizio delle funzioni dello Stato e alla condizione in cui versano le sue strutture portanti». Il termine «istituzioni» ricorre in forme insistite nelle parole del capo dello Stato. Si capisce che qui è il cuore del problema: istituzioni indebolite, non sorrette dalla necessaria forza politica e morale, come si nota anche nelle incongruenze del processo legislativo. Istituzioni, in sostanza, troppo fragili e impacciate di fronte alla sfida che l'Europa ci propone in termini perentori, persino brutali.

Che altro deve dire il presidente della Repubblica per far intendere che il nocciolo della crisi riguarda la credibilità del governo sulla scena internazionale? È qui il nodo che non si riesce a sciogliere, con danni che si scontano ogni giorno, mentre i mercati finanziari guardano all'Italia con crescente diffidenza e la stessa opposizione rimane incapace di offrire un'alternativa concreta e plausibile, al di là delle formule retoriche e dei dissensi che la lacerano.

Sì, una giornata drammatica. Nel corso della mattina Napolitano era presente all'incontro promosso dall'Abi in cui Giovanni Bazoli aveva chiesto con tono accorato «scelte in grado di migliorare il clima di fiducia». Scelte tutt'altro che indolori perché implicano «sacrifici per tutti, perdite di posizioni» ed esigono «disponibilità al cambiamento». Come dire che è indispensabile la rottura immediata di infinite incrostazioni e la correzione di ingiustizie accumulate negli anni. Perché senza riforme «l'Italia rischierebbe di compromettere il suo futuro nella democrazia».

Frasi gravi e con ogni evidenza assai ponderate, in sintonia con i giudizi che di lì a poco avrebbe dato il capo dello Stato. Frasi che poi non hanno trovato un riscontro o un commento negli esponenti del Governo, come ci si poteva attendere. Tace Berlusconi e anche il ministro dell'Economia Tremonti, che in serata ha partecipato alla Festa della Zucca di Pecorara (Piacenza), non ha rilasciato dichiarazioni.

Si può pensare che l'esecutivo voglia replicare con i fatti, mettendo a punto le misure per lo sviluppo e traducendo in atti concreti gli impegni promessi all'Europa con la recente lettera. Ci si augura che sia così, ma intanto lo «spread» oltre quota 400 è un indizio terribile che segnala l'incertezza del quadro generale. I tempi della politica sono troppo lenti rispetto al precipitare della crisi. E del resto all'orizzonte non s'intravede una soluzione.

Montezemolo ha proposto in una lettera a "Repubblica" un «governo di salute pubblica» al posto di Berlusconi, indicando un'agenda di cose da fare. Ma la freddezza, a dir poco, del Pdl e del Pd, dimostra che un simile governo non troverebbe una maggioranza in Parlamento. E non si può caricare sulle spalle del presidente della Repubblica l'onere che spetta alla responsabilità delle forze politiche. Per cui oggi l'alternativa è fra una lenta agonia e le elezioni anticipate (meglio se in fretta).

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