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Questo articolo è stato pubblicato il 08 novembre 2011 alle ore 08:25.

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Isolato, abbandonato (o «tradito») da tanti, con i mercati entusiasti alla notizia poi smentita delle sue dimissioni, Silvio Berlusconi si aggrappa al temperamento di combattente e alla forza della disperazione per ribadire: «Io ho i numeri». Lo ha detto ancora ieri sera a Calderoli che andava a esporgli la nuova linea della Lega, storico alleato: passo indietro e passaggio di mano «a un uomo di fiducia». Risposta negativa. A quanto pare l'uomo che ha dominato per anni la scena nazionale non si piega, mentre il partito di Bossi sta cercando con cinismo di addossargli la responsabilità delle elezioni anticipate.

E siamo ancora al punto di partenza. Da giorni la questione non è 'se' Berlusconi uscirà di scena, ma 'come' e 'quando' accadrà. Ora abbiamo una prima risposta, sia pure tormentata. La prossima settimana Berlusconi vuol farsi votare a viso aperto la fiducia (o la sfiducia) sulle misure per l'Europa. Prima al Senato, dove i numeri sembrano più stabili, e poi a Montecitorio, dove invece è il Far West. Il premier pensa ancora, in tal modo, di frenare l'emorragia che sta sgretolando la maggioranza giorno dopo giorno.
L'idea di essere guardato in faccia al momento del voto dal presidente del Consiglio assiso sui banchi del governo, potrebbe suggestionare qualcuno. Potrebbe, ma non fino al punto di fargli cambiare idea. E infatti Berlusconi si affida piuttosto alle telefonate e ai colloqui personali per recuperare almeno un paio di transfughi. Non facile nemmeno questo. Il rischio, anzi, è che di qui alla prossima settimana altri abbandonino il vascello alla deriva per raggiungere la sponda moderata dell'Udc, dove Casini sta tessendo con successo la sua rete (come dice Pisanu, «vedo una nuova casa comune di cattolici e liberali»).

Il clima, non c'è dubbio, è surreale e tale è destinato a restare per giorni. Facendo ricorso al voto di fiducia, Berlusconi ha deciso di tentare l'ultima sfida ai suoi deputati, da lui nominati e piazzati in Parlamento grazie alla ben nota legge elettorale. Oppure di cadere in piedi. Una «bella morte» che però ha poco di romantico. Il premier persegue un preciso obiettivo: rendere più ardua la via di fuga ai riottosi; e al tempo stesso, se sarà costretto a dimettersi dal voto della Camera, bruciare in partenza le ipotesi intermedie (governi tecnici, istituzionali, di transizione, eccetera).
È con ogni evidenza un momento drammatico. La stessa presa di posizione della Lega dimostra che qualcosa si sta muovendo anche nelle file dell'ex maggioranza. Finora Berlusconi ha rifiutato con caparbietà il gesto di generosità che tutti gli chiedono (a modo suo persino Bossi): ritirarsi dal palcoscenico e permettere che prenda forma un esecutivo in grado di restituire credibilità al paese, assumendo alcuni provvedimenti concreti richiesti a gran voce dall'Europa. Perché è chiaro a tutti che il governo Berlusconi è ormai totalmente paralizzato.

D'altra parte, solo la disponibilità e la buona volontà del presidente uscente possono aiutare Napolitano a sbrogliare la matassa. Senza il concorso del Pdl e della sua notevole forza parlamentare non è infatti plausibile un qualsiasi sbocco della crisi che escluda l'immediato ricorso al voto anticipato. Sotto questo aspetto il premier ha ancora in mano la «golden share».
Egli può dimettersi, dopo aver incardinato le misure europee, e bruciare i ponti della legislatura. Oppure può lasciare Palazzo Chigi e aiutare il Capo dello Stato a realizzare una nuova maggioranza, più o meno larga, capace di operare almeno per qualche mese. Sono due strade molto diverse. Ma non c'è dubbio che siamo arrivati al bivio decisivo. Ogni giorno perduto è un giorno che ci avvicina al voto anticipato. Ma intanto oggi il rendiconto dello Stato dovrebbe passare, magari con un ampio arco di astensioni. Perchè, come dice Marco Pannella, «è da irresponsabili bocciarlo».

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