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Questo articolo è stato pubblicato il 16 novembre 2011 alle ore 12:22.

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(dal "Sole 24 Ore" del 9 giugno 1993)
Pubblichiamo di seguito la sintesi dell'audizione che il professor Mario Monti, rettore dell'Universita' Bocconi, ha tenuto ieri alla commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione, a proposito dell'indagine conoscitiva sui vincoli e i fattori di rigidita' per le strategie di contenimento e le politiche di gestione del debito pubblico.

Disavanzo pubblico corrente: una peculiarita' italiana
Il problema della finanza pubblica italiana e' grave per il motivo, ben noto, delle dimensioni del debito (oltre il 100% del Pil contro il 60% circa del resto della Cee) e del disavanzo (oltre il 10% del Pil contro il 4% del resto della Cee); e soprattutto per il motivo, meno noto, che il disavanzo e' costituito in gran parte da disavanzo corrente. Cio' comporta assorbimento di risparmio privato non per investimenti pubblici, suscettibili (se sono investimenti "veri") di espandere la capacita' produttiva del Paese, bensi' per coprire le spese pubbliche correnti che eccedono le entrate. Il settore pubblico italiano presenta questa anomalia ininterrottamente dal 1971. Negli ultimi dieci anni il disavanzo corrente si e' attestato intorno al 6% del Pil. Nel 1992 e' stato di 93mila miliardi, il 60% del disavanzo totale, il 6,2% del Pil. Il 1992 e' stato per la Cee un anno di disavanzi pubblici elevati, anche a causa della riunificazione tedesca. Si e' anche registrato, situazione inconsueta per la Cee, un disavanzo pubblico corrente. Ma, come mostra la tabella, nel resto della Cee il disavanzo corrente e' stato dello 0,7% del Pil. Quello italiano (6,2%) e' stato di 8,9 volte tanto.
In Italia il disavanzo pubblico ha assorbito il 43,8% del risparmio privato e, da solo, il disavanzo corrente ha assorbito (ma in questo caso e' piu' esatto dire "distrutto") il 25,8% di tale risparmio. Questo "coefficiente di distruzione del risparmio" e' stato pari a 7,2 volte quello del resto della Cee. L'Italia, che partecipa per il 17,5% alla produzione del Pil della Cee, partecipa per il 64% alla distruzione di risparmio privato, attraverso il disavanzo corrente, che si verifica nell'insieme della Cee. Questo nel 1992. In anni meno anomali del 1992, accade di solito che il resto della Cee presenti non un disavanzo corrente, bensi' un avanzo corrente.

L'azzeramento del disavanzo corrente
Nei documenti della politica economica e nell'opinione pubblica, il disavanzo corrente non riceve ancora la necessaria attenzione. Criterio centrale della politica di bilancio deve diventare l'azzeramento del disavanzo corrente, salvo modeste oscillazioni in relazione al ciclo economico. L'indebitamento dovrebbe essere consentito solo per le spese in conto capitale. Al rapporto debito Pil dovra' continuare a prestarsi attenzione, cosi' come al rapporto disavanzo Pil: non solo perche' a essi si riferiscono le condizioni di convergenza del Trattato di Maastricht, ma anche perche' essi indicano l'"ingombro" del settore pubblico nei mercati finanziari, rispettivamente sugli stocks e sui flussi. Ma dal punto di vista delle conseguenze economiche "reali", ancor piu' rilevante e' la circostanza, se a fronte del suo debito in essere in un dato momento, o del suo indebitamento incrementale in un dato periodo, vi siano atti di consumo del settore pubblico o, invece, suoi atti di investimento. Proprio come per un'impresa fa differenza che un debito venga assunto a copertura di perdite o, invece, per effettuare investimenti. Si discute molto di "sostenibilità" del debito pubblico. Si e' introdotto da tempo il concetto di disavanzo primario - cioe' disavanzo totale (senza distinzione tra parte corrente e parte capitale) al netto della spesa per interessi - per individuare le condizioni alle quali sia possibile dapprima arrestare la crescita del rapporto debito Pil e poi avviarne la diminuzione. Ma puo' essere piu' "sostenibile" un rapporto debito Pil relativamente alto, se a fronte del debito accumulato il settore pubblico ha effettuato investimenti pubblici, di quanto lo sia un rapporto debito Pil piu' basso nel caso il debito sia servito a finanziare prevalentemente spesa corrente.

Solo negli ultimi dieci anni, il debito pubblico e' aumentato di 1 milione e 230mila miliardi. Di questi, 675mila miliardi sono stati a fronte del "nulla": il ricavo dei prestiti e' stato consumato o ridistribuito dal settore pubblico; questo non ha accumulato alcuna attivita' patrimoniale in grado di contrapporsi al nuovo debito di 675mila miliardi, nessuna fonte di reddito per il settore pubblico o per il Paese dalla quale poter trarre i mezzi per il servizio di quei prestiti (interessi e rimborso). Si noti che a questo risultato si e' arrivati con il grande impegno posto dallo Stato e dalle autorita' monetarie per favorire il collocamento dei titoli di Stato, anche impedendo o scoraggiando le destinazioni alternative - e produttive - del risparmio privato. E a ogni collocamento riuscito (cioe' a ogni fotogramma della lunga pellicola che ci ha portato alla situazione attuale), i media facevano eco alle autorita' sottolineando il "successo". L'attenzione prestata negli ultimi anni al concetto di saldo primario non e' stata inutile. E' servita a rendere visibile un certo progresso che si andava registrando nel disavanzo al netto degli interessi pur in una fase in cui - rinunciando gradualmente il Tesoro al beneficio dei vincoli amministrativi - il costo del debito aumentava. Tale passaggio era necessario per accrescere la pressione al contenimento del disavanzo, rendendone meno agevole il finanziamento: contenimento che infatti si e' verificato - pur se in misura insufficiente - in termini di disavanzo primario. Ma ora che il disavanzo primario e' stato sostanzialmente azzerato, non e' piu' proficuo attribuire importanza centrale al saldo primario. Non e' analiticamente fondato, ed e' controproducente come messaggio all'opinione pubblica, porre come traguardo un avanzo primario molto rilevante, come quello che certo occorre. Conviene spostare finalmente l'attenzione sul saldo corrente. E' questo che va azzerato. E' nella natura stessa del disavanzo corrente – se chiaramente spiegata all'opinione pubblica - tutta la motivazione per il suo azzeramento. Non puo' continuare la distruzione di risparmio, che costringe il Paese a una crescita e a un'occupazione inferiori e che riversa sulle generazioni future (e sugli anni futuri delle generazioni di oggi) l'onere della spesa di consumo di oggi. Si continua a prestare molta attenzione ai parametri debito Pil e disavanzo Pil. Si dismetta l'attenzione centrale al saldo primario. Ci si proponga come obiettivo per il 1994 l'azzeramento del disavanzo corrente (93mila miliardi nel 1992, circa 90mila miliardi nel 1993) e il mantenimento del pareggio corrente, al netto di modeste variazioni cicliche, per gli anni successivi. Non si abbia infine, la sensazione che questo sia un traguardo troppo ambizioso. Esso, senza ancora rimediare ai guasti di una politica ventennale di distruzione del risparmio, consente solo di non proseguire in tale sistematica distruzione.

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