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Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2011 alle ore 08:19.
L'ultima modifica è del 30 novembre 2011 alle ore 08:20.

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Come una novella albione la Germania è oggi l'oggetto dei malumori d'Europa. Come se le difficoltà dell'euro, e di ciascuno dei Paesi dell'Eurogruppo, derivassero dalla "perfidia" del nemico di turno, questa volta i tedeschi. Non è così. E soprattutto è irresponsabilmente pericoloso cedere alla tentazione di scaricare su altri le ragioni dei nostri guai.

Non c'è dubbio, e questo giornale l'ha scritto a più riprese, che le ragioni del consenso abbiano spinto la cancelliera Angela Merkel a ritardare iniziative che, prese per tempo, avrebbero scongiurato a costi molto più bassi la crisi di oggi. Ma non va mai dimenticato che se i tedeschi in questi mesi hanno in mano la leadership europea e beneficiano del vantaggio competitivo di tassi straordinariamente favorevoli è perché Berlino ha fatto in casa i compiti che altri hanno colpevolmente rinviato. In un ventennio hanno ristrutturato il proprio mercato del lavoro, hanno investito in tecnologie e ricerca, hanno supportato i costi della riunificazione, hanno ritardato l'età dei pensionamenti.

Noi, semplicemente, non l'abbiamo fatto. È per questo che oggi Berlino può legittimamente chiedere impegni, vincoli e regole nuove, in cambio di un sostegno più generoso della Bce e dell'Efsf ai Paesi in difficoltà.

Gli unici responsabili dei nostri guai siamo noi. È la nostra politica debole che per anni non ha saputo prendere le scelte difficili di cui il Paese aveva bisogno. Mercato del lavoro, fisco, pensioni, liberalizzazioni, costi della politica: mentre la Germania agiva, il bipolarismo italiano rinviava, con la sola preoccupazione di inseguire i facili consensi dell'opinione pubblica.

Mai scelta è stata più miope. Anche perché, oggi che un Governo credibile sta spiegando le ragioni delle riforme agli italiani, la risposta è molto diversa da quella temuta. Lo testimonia il sondaggio Cise-Il Sole 24 Ore, realizzato da Roberto D'Alimonte e pubblicato su queste pagine domenica scorsa. Quando si presenta agli italiani la riforma del mercato del lavoro come riduzione del dualismo tra lavoratori iper-protetti e precari senza alcuna garanzia la risposta è positiva. Così come è positiva la reazione davanti all'esigenza di spostare il prelievo fiscale dal lavoro e dalle imprese ai patrimoni e ai consumi. Anche la patrimoniale viene promossa. E finanche le pensioni diventano un argomento non più tabù, se si spiega il possibile trade-off tra età del ritiro e possibilità di ridurre i contributi in busta paga.

La politica debole di questi anni ha davvero di che riflettere sui risultati di quel sondaggio. Ci voleva un Governo di tecnici, paradosso e sconfitta per i nostri politici, a spiegare agli italiani le ragioni dei sacrifici e delle riforme. Riforme che servono, prima ancora che all'Europa, a noi stessi.

Questo giornale ha molto incalzato sui tempi delle scelte. Tempi che sono stati rapidi grazie alla lungimirante pressione del presidente della Repubblica. Forse potevano esserlo ancora di più. Ma era anche giusto che il nuovo Governo prendesse il tempo minimo per mettere a punto in modo corretto le misure, non senza il prezioso contributo di idee della Banca d'Italia, e per cominciare a costruire il consenso intorno ad esse.

Ora ci siamo. La squadra di governo è fatta (a proposito, la chiarezza sulla rinuncia a qualsiasi incarico o interesse, anche azionario, precedente deve essere totale). Tra ieri e oggi il premier, con la collaborazione di un funzionario esperto e stimato in Europa, come Vittorio Grilli, promosso viceministro, ha ulteriormente spiegato ai nostri partner le misure previste, ricevendone il consenso. Ma l'appuntamento decisivo sarà quello dell'8 dicembre con il Consiglio europeo. Se l'Italia vorrà dire la sua, magari anche sollecitando i tedeschi alla responsabilità che anche loro devono dimostrare in questa fase, bisognerà arrivarci con il numero più ampio possibile di riforme già approvate. Il Consiglio dei ministri è annunciato per il prossimo lunedì. Il 5 dicembre. Il tempo è ancora quello giusto. Ora servono i fatti.

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