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Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2011 alle ore 20:42.

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«Queste sono le ultime elezioni che il Cremlino sarà in grado di controllare – scrive Konstantin von Eggert, editorialista di radio Kommersant – ci aspetta un periodo di disordini e confusione. La stabilità è finita». Stabilità è il bene più prezioso che Vladimir Putin, apparso nel 1999 sulla scena politica russa, ha saputo assicurare al proprio Paese.

Stabilità apprezzata dopo gli anni difficili della fine dell'Urss, su questa Putin ha costruito la crescita economica del suo primo decennio. Ma ora che lo Zar si ripropone per altri 12 anni al potere – totalizzando un regno di 25 anni inferiore per durata solo a quello di Stalin – la stabilità non basta a conquistare il voto della maggioranza compatta di cui Putin avrebbe bisogno per legittimare il sistema.

Il voto a cui sono chiamati domenica 110 milioni di russi – il rinnovo della sesta Duma, la Camera bassa del Parlamento – non dovrebbe garantire al partito di Putin la maggioranza assoluta conquistata senza fatica nel 2007. I sondaggi vedono Russia Unita in forte calo – sia pure sempre al primo posto - e il nervosismo del Cremlino – diversi media parlano addirittura di "panico" – è stato una novità assoluta in una campagna elettorale che appariva scontata, fino a poche settimane fa.

Le ragioni del malumore dei russi nei confronti del partito del potere sono diverse, dalla delusione per le promesse non mantenute alle preoccupazioni economiche, al rifiuto del paternalismo e di una casta di burocrati impegnati solo a difendere i propri interessi. La svolta, secondo diversi osservatori, è venuta alla fine di settembre, quando al Congresso di Russia Unita Putin ha annunciato la fine dell'esperimento Medvedev, e il proprio ritorno al Cremlino. Sarà lui il candidato del partito alle elezioni presidenziali del 4 marzo. Molti, anche all'interno dell'apparato, non hanno apprezzato una decisione imposta così sfacciatamente dall'alto.
Improvvisamente sembra tramontato il periodo delle immagini di Putin in versione "macho", delle canzoni d'amore delle ragazzine: il brand si è offuscato.

Il voto di domenica sarà il primo vero test della sua popolarità, al netto delle "correzioni" che il sistema si sforzerà di apportare per migliorare il risultato, per autoconservarsi. L'intera campagna elettorale, del resto, è stata gestita dalla macchina amministrativa che si identifica con il partito Russia Unita.La novità è che la protesta ha trovato voce su internet, rompendo un tabù e allargandosi ai giornali. I fischi contro Putin, le canzoni di protesta, le denunce delle violazioni elettorali. "Voce", golos, è anche il nome dell'organizzazione presa di mira dalle autorità, osservatori russi sostenuti da Stati Uniti e Unione Europea. La loro leader, Lilya Shibanova, è stata fermata all'aeroporto moscovita di Sheremetevo, il suo computer confiscato. "Golos" aveva registrato 5.000 casi di violazione delle norme elettorali: se dopo il voto gli osservatori dovessero denunciare falsificazioni di massa, farle passare questa volta sarà forse più difficile che in passato. "C'è molta tensione nella società – dice un amico moscovita – quasi da far paura". Sarà il voto a misurare questa pressione: perché non si trasformi in scontro potrebbe aver bisogno di trovare sfogo in qualche apertura. Putin dovrebbe tenerne conto.

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