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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2011 alle ore 08:06.
L'ultima modifica è del 09 dicembre 2011 alle ore 06:43.

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In tutto il mondo, la conduzione della politica monetaria si regge su un principio fondamentale: la centralità delle aspettative. In tutto il mondo, tranne che nell'area euro: la Banca centrale europea (Bce) sembra essersi dimenticata di questo principio fondamentale.
Nei giorni scorsi, i mercati finanziari si stavano stabilizzando, perché finalmente cominciava a intravedersi una via d'uscita dalla crisi dell'euro.

La via d'uscita aveva tre passaggi. Primo, i Paesi sotto attacco (e in particolare l'Italia) avrebbero adottato misure importanti per risanare i conti pubblici e sostenere la crescita. Secondo, il Consiglio europeo avrebbe affrontato in modo credibile il problema dell'azzardo morale, rinforzando significativamente la sorveglianza europea sulle politiche economiche nazionali, e imponendo ai paesi dell'euro di adottare vincoli costituzionali di bilancio in pareggio. Terzo, e in sequenza, la Bce si sarebbe sentita più libera di affrontare il problema della stabilità finanziaria anche intensificando gli acquisti di titoli di Stato dei Paesi sotto attacco.

Nella conferenza stampa di ieri, il presidente della Bce ha esplicitamente e ripetutamente chiuso il terzo passaggio, spiegando che la monetizzazione del debito è proibita dal Trattato europeo. Risultato? Il rendimento dei BTp decennali è istantaneamente tornato vicino al 7%, la Borsa italiana è crollata di oltre 4 punti, e i mercati finanziari sono ripiombati nel caos. È davvero difficile immaginare una presa di posizione più controproducente, poco prima di un Consiglio europeo che potrebbe avere importanza storica.

Da quando è iniziato il programma di acquisto di titoli di Stato, la Bce ha comprato quasi 200 miliardi di titoli dei Paesi dell'euro. Non è poco. Monetizzazione del debito pubblico? No, dice la Bce, perché gli acquisti sono finalizzati esclusivamente a ripristinare la trasmissione della politica monetaria in tutta l'area euro. È una foglia di fico, perché tutti sanno che è in gioco la stabilità finanziaria dell'intera area euro, e non solo la trasmissione della politica monetaria. Ma il punto importante è un altro. Gli acquisti della Bce, seppure considerevoli, non hanno riportato la fiducia sui mercati perché non sono riusciti a influire sulle aspettative. E la ragione è una politica di comunicazione contraddittoria e confusa.

Per avere fiducia, i mercati devono vedere un cambiamento di regime di politica monetaria. Cioè devono aspettarsi un comportamento diverso della Banca centrale.
Nei giorni scorsi stava diffondendosi la fiducia non perché la Bce aveva comprato più titoli di stato, ma perché si intravedeva la possibilità di un atteggiamento diverso in futuro. Le affermazioni del presidente Draghi hanno fatto tornare tutto come prima.
Se la Bce ha bisogno del pretesto della trasmissione della politica monetaria per giustificare le sue azioni, lo usi. Ma spieghi cosa intende fare. Come la Federal Reserve e la Banca d'Inghilterra, annunci chiaramente che nei prossimi mesi intende acquistare una quantità predeterminata di titoli di Stato, indicando i Paesi e spiegandone le ragioni, purchè la finanza pubblica di questi Paesi sia giudicata dalla Commissione europea su un percorso sostenibile.

Anche la decisione di tagliare i tassi di interesse di un solo quarto di punto è inadeguata alla gravità della situazione e al rischio di imminente e profonda recessione. I tassi di interesse dovranno scendere ancora, e non vi è una ragione valida per aspettare i prossimi mesi.
Ormai è ampiamente diffusa la convinzione che il Trattato di Maastricht sia inadeguato, perché trascura uno dei compiti tradizionali delle banche centrali, e cioè la salvaguardia della stabilità finanziaria. Ma non è solo colpa del Trattato se non riusciamo a uscire da questa crisi di fiducia. Anche rispettando i vincoli del Trattato, la Bce potrebbe fare meglio e di più. A cominciare dalla politica di comunicazione.

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