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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2011 alle ore 17:50.

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La sintesi migliore dello spirito con cui oggi tante città della penisola sono tornate a popolarsi di donne, arriva da Giulia Bongiorno. «Oggi la piazza chiede che in un momento così difficile le donne non siano le uniche a cui viene chiesto un supersacrificio. Perché a tutti viene chiesto tanto ma alle donne ancora di più». Ecco perché gli oltre cento comitati d i "Se non ora quando" hanno scelto di accendere di nuovo i riflettori dopo quel 13 febbraio che ha visto mobilitarsi oltre un milione di persone. Da allora è cambiato il governo, ma non il Paese e le difficoltà che le donne sperimentano nella vita di tutti i giorni.

Cristina Comencini, una delle promotrici del movimento, accende piazza del Popolo, a Roma, il clou della mobilitazione. Sono ventimila nella capitale, centomila nel resto d'Italia «Il governo è cambiato, ma il Paese no. E le donne non vanno via. Restano per dire che vogliamo lavorare, vogliamo avere bambini, ed essere al centro del piano di sviluppo». Non è una bocciatura dell'esecutivo Monti, ma, davanti ai sacrifici imposti dalla manovra, le donne e gli uomini di Snoq chiedono impegni precisi al premier. La Bongiorno sintetizza così alcune richieste. «L'età pensionabile - dice - si può allungare ma contemporaneamente non si può non dare un aiuto quando la donna è più fragile, durante la gravidanza o quando deve conciliare le esigenze familiari ed extra».

Non vogliono promesse, dunque, ma ricette concrete. Perché una manovra che impone altri sforzi non può, lamentano, non offrire risorse o strumenti di conciliazione tra la casa e il lavoro, non può non assicurare un welfare moderno che cessi di reggersi sulle spalle delle donne. E quanto le donne siano state e siano indispensabili al Paese lo dice Luisa Rizzitelli, del comitato di Snoq, snocciolando qualche cifra. «Le donne italiane lavorano 60 ore settimanali, più di tutte in Europa. Tre milioni e mezzo sono le donne che lavorano per assenza di servizi, 800mila le donne licenziate o costrette a dimettersi perché in gravidanza». Per non dire delle disparità salariali. «Le donne hanno stipendi del 30% più bassi degli uomini. Le sonne anziane sono più povere - prosegue Rizzitelli - e percepiscono le pensioni più basse perché hanno accudito figli, nipoti, genitori. Le donne giovani sono più laureate e al tempo stesso più disoccupate e precarie dei giovani uomini. Le donne sono sistematicamente escluse dai luoghi decisionali».

Per questo, suggerisce Francesca Bettio, docente di economia del Lavoro all'università di Siena e redattrice del sito ingenere.it, «oggi dobbiamo siglare un pink new deal». Perché, come ricordano le organizzatrici, «non c'è crescita e non c'è democrazia senza di noi». Ma le donne che oggi sono scese in piazza a Roma e in tante altre città del Paese - da Genova a Ravenna, da Torino a Cagliari - vogliono offrire il loro contributo e sono pronte al confronto su un pacchetto di proposte molto precise: da una maggiore presenza di genere nella politica, nelle istituzioni e nei luoghi decisionali, alla richiesta di strumenti di sostegno che consentano di ripartire equamente il lavoro di cura e la gestione del rapporto tra casa e lavoro, fino alla concessione della cittadinanza ai minori figli di stranieri nati in Italia. Tema caro al capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Proprio il capo dello Stato ha ricordato, qualche mese fa, che le donne «hanno il dovere di contrastare luoghi comuni e di esigere rispetto e considerazione». Ma anche, e soprattutto, risposte concrete per una quotidianità diversa.

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