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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2011 alle ore 08:10.

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Salta il taglio alle indennità dei parlamentari previsto dalla manovra. La maggioranza presenterà un emendamento per cancellare il comma 7 dell'articolo 23, inserito dal governo per accelerare i tempi del cosiddetto «livellamento retributivo» degli stipendi dei parlamentari italiani a quelli dei loro colleghi europei. La norma stabilisce infatti che, qualora la commissione governativa istituita dal precedente esecutivo nella manovra di luglio, per determinare il taglio delle retribuzioni, non abbia al 31 dicembre di quest'anno concluso i suoi lavori, il governo procederà comunque, «con apposito provvedimento d'urgenza», ovvero con un altro decreto legge, all'individuazione del taglio.

Un'ipotesi che ha fatto insorgere deputati e senatori della maggioranza, sostenuti anche dal presidente della Camera Gianfranco Fini. Nessun atteggiamento «dilatorio», assicura Fini, ma quella norma «è scritta male» e «il governo ne è perfettamente consapevole», quindi, va «corretta».

E questa correzione di fatto ricalcherebbe quanto già previsto dalla manovra di Tremonti l'estate scorsa, ovvero attendere la fine dei lavori della commissione guidata dal presidente dell'Istat Enrico Giovannini alla quale è stato assegnato il compito di determinare l'indennità media dei parlamentari europei, per il «livellamento» di quella italiana. «Non è in discussione la revisione dell'indennità», sottolinea Fini, ma il governo «non può intervenire per decreto nell'ambito di questioni che sono di esclusiva competenza delle Camere».

È il principio dell'autodichia, previsto proprio per salvaguardare l'indipendenza del Parlamento dall'ingerenza di altri poteri dello Stato. Lo rivendica anche il segretario del Pdl Angelino Alfano: «Nessun rallentamento sui tagli ai costi della politica ma le Camere non si fanno commissariare dal Governo». Assai più sfumata la posizione di Pier Ferdinando Casini.

Il leader dell'Udc fa sapere che il suo gruppo «non presenterà alcun emendamento che escluda dai tagli gli stipendi dei parlamentari. Un'affermazione per distinguersi da Pdl e Pd. E infatti ad esporsi in questa vicenda sono proprio i due maggiori partiti con Massimo Corsaro, il regista del Pdl in commissione Bilancio-Finanze, e Pierpaolo Baretta relatore della manovra per i democratici. «Non deve essere il Governo a decidere per decreto», dice Baretta e lo stesso ripete Corsaro, annunciando l'emendamento con cui «si stabilirà un tempo massimo entro cui la commissione Giovannini dovrà intervenire». Trascorso questo termine – sottolinea ancora Corsaro – «il Parlamento avrà 30 giorni per prendere le sue decisioni». E poiché il termine sarà probabilmente fissato al 31 marzo, di eventuali riduzioni delle indennità se ne riparlerà ad aprile.

Una scelta che rischia però di essere controproducente. L'Idv è già partita alla carica: «La casta non prenda in giro gli italiani, soprattutto di questi tempi», attacca Antonio Borghesi. Ma malumori ci sono anche all'interno del Pd: «Spero sinceramente che si tratti di una bufala. Ma è davvero possibile che i parlamentari italiani stiano cercando di far saltare dalla manovra la parte che riguarda il loro (piccolo) contributo ai sacrifici?», scriveva ieri su facebook, il sindaco di Firenze, Matteo Renzi.

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