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Questo articolo è stato pubblicato il 15 dicembre 2011 alle ore 16:07.

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Il Barcellona è oggi la squadra più forte del mondo?
Mentre il Mondiale per club potrebbe sancire con il titolo ufficiale una realtà di fatto (Santos di Neymar permettendo), la risposta è facile. Sì, i catalani sono i primi della classe, come hanno dimostrato nei recenti incontri con Milan e Real Madrid, due tra le rivali più quotate.
Lo sono per valori individuali e qualità del gruppo. Il genio di Messi illumina e trascina un complesso straordinario: l'attacco, con l'innesto di Sanchez, ha aumentato in velocità e tasso tecnico; alle spalle agisce la coppia dei costruttori di gioco, Xavi e Iniesta, una combinazione di talento e sapienza tattica che mai s'era vista fondersi in un'unica squadra; in difesa un gruppo di straordinaria abilità, coordinato da Puyol e Piqué.

In realtà la scansione difesa-centrocampo-attacco è assai labile in un complesso dove ciascun elemento svolge più compiti, compresa l'immediata pressione non appena la palla torna (e accade di rado) all'avversario. Illuminanti i recuperi di Messi che si fa l'intero campo di corsa. Il 4-3-3 di Guardiola si trasforma in 3-4-3 a seconda delle esigenze tattiche. Di assoluta rigidità, non appaia un paradosso, è il continuo scambio, il palleggio palla a terra, il tic tic e tic toc che tanto irrita chi non se lo può permettere. Illuminante la risposta di Guardiola all'indomani del clasico vinto contro il Real. Dopo aver subìto la prima rete per una papera di Victor Valdés, sono continuati gli scambi palla a terra con il portiere, perché solo così i blaugrana iniziano la trama di gioco e la fiducia nei singoli si rafforza con un credo collettivo che non conosce deroghe.

Qual è la squadra più forte d'ogni tempo?
La questione è priva di senso logico per l'evidente improponibilità di confronti tra epoche e atleti affatto diversi. Basta prendere in esame la velocità del gioco per comprendere che nessun paragone è lecito. Più sensato è cercare di individuare quelle squadre che non solo hanno ottenuto risultati, ma hanno rappresentato una novità nei loro tempi, un salto logico rispetto al presente.

Il Milan di Sacchi degli anni Ottanta
Pressing, possesso palla, ripartenze. Oggi non c'è appassionato che non conosca il gergo che sgorga a getto continuo dalle cronache sportive. Ma sino alla seconda metà degli anni Ottanta quei termini erano sconosciuti. Fu un cocciuto allenatore, innamorato sino alla paranoia dei suoi schemi e delle sue tattiche, a mutare la filosofia del calcio italiano e d'Europa. Non fu solo questione di campioni, anche se aiuta avere giocatori del calibro di Van Basten, Gullit, Rijkard, Baresi. La differenza venne da un modulo, il 4-2-4, assai duttile nel quale un certo Donadoni, agiva come pendolo tra difesa e attacco nelle funzioni di esterno di centrocampo. Il tradizionale assetto difensivo fu sconvolto: addio al libero e quattro difensori in linea, due centrali e due esterni; a centrocampo un trequartista e un interditore; davanti punte assai vicine e mobili. Un calcio totale che non conosceva sosta su ogni terreno. Fu così che dal 1987 al 1991 si inaugurò la prima grande stagione dei trionfi rossoneri, soprattutto in Europa. Toccò al mitico Real subire da Sacchi un'umiliazione in Coppa (5-0). Opera poi completata dal Milan di Capello che sconfisse per 4-0 il Barcellona , condotto dallo smisurato e presuntuoso talento di Cruyff.

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