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Questo articolo è stato pubblicato il 29 dicembre 2011 alle ore 06:43.

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Spesso mi viene chiesto se la recente crisi finanziaria globale segna l'inizio della fine del capitalismo moderno. È una strana domanda, perché sembra presumere che vi sia un sostituto valido. In realtà, almeno per ora, le uniche serie alternative al paradigma anglo-americano oggi dominante sono altre forme di capitalismo.

Il capitalismo dell'Europa continentale, che coniuga generosi benefici sanitari e sociali con un ragionevole orario di lavoro, lunghi periodi di vacanza, prepensionamento, e una relativamente equa redistribuzione dei redditi, sembrerebbe avere tutto ciò che occorre per essere raccomandato - eccetto la sostenibilità. Il darwiniano capitalismo cinese, con la sua feroce competizione tra imprese di esportazione, la debole rete di sicurezza sociale, e il diffuso intervento pubblico, viene ampiamente propagandato come inevitabile erede del capitalismo occidentale, se non altro per l'enorme estensione della Cina e il suo costante gigantesco tasso di crescita. Tuttavia, il sistema economico cinese è in continua evoluzione. Difatti, è tutt'altro che chiaro fino a che punto le strutture politiche, economiche e finanziarie cinesi continueranno a evolversi, e se alla fine la Cina si trasformerà in un nuovo modello di capitalismo. In ogni caso, la Cina è ancora gravata dalle usuali fragilità sociali, economiche e finanziarie caratteristiche di un paese a basso reddito in rapida crescita.

Forse il vero punto è che, nel grande corso della storia, ogni forma di capitalismo è in fin dei conti transitoria. Il capitalismo moderno ha compiuto una volata straordinaria da quando, duecento anni fa, è iniziata la Rivoluzione Industriale, sollevando da una miserabile povertà miliardi di persone comuni. In paragone, il marxismo e il tirannico socialismo registrano record disastrosi. Ma, dal momento che l'industrializzazione e il progresso tecnologico si vanno diffondendo in Asia (e ora anche in Africa), un giorno la lotta per la sopravvivenza non sarà più un imperativo primario, e i numerosi problemi del capitalismo potranno apparire di maggiore portata.

In primo luogo, anche le principali economie capitaliste hanno fallito nel valutare in modo efficace beni pubblici come l'aria e l'acqua pulita. Il fallimento degli sforzi per giungere a un nuovo accordo mondiale riguardo ai cambiamenti climatici è sintomatico della paralisi. Secondo, insieme con la grande ricchezza, il capitalismo ha prodotto straordinari livelli di diseguaglianza. Il crescente divario è in parte il semplice effetto collaterale di innovazione ed imprenditorialità. La gente non si lamenta del successo di Steve Jobs; i suoi contributi sono evidenti. Ma non è sempre così: i grandi patrimoni permettono a gruppi o individui di acquistare potere politico e influenza, che a loro volta aiutano a generare ancora più ricchezza. Soltanto pochi paesi - la Svezia, per esempio - sono riusciti a spezzare questo circolo vizioso evitando il collasso della crescita.
Un terzo problema è la fornitura e la distribuzione di assistenza sanitaria, un mercato che non riesce a soddisfare molti dei requisiti di base necessari al meccanismo dei prezzi per produrre efficienza economica, a cominciare dalla difficoltà che i consumatori hanno nella valutazione della qualità delle cure mediche.

Il problema non può che peggiorare: i costi della sanità in proporzione al reddito sono destinati sicuramente a crescere con l'aumento della ricchezza della società e del suo invecchiamento, probabilmente superando il 30% del Pil in pochi decenni. In campo sanitario, forse più che in qualsiasi altro mercato, molti paesi si dibattono nel dilemma morale su come mantenere incentivi per produrre e consumare in modo efficiente senza generare disparità inaccettabili nell'accesso alla salute.

È paradossale che le società capitalistiche moderne siano impegnate in campagne pubbliche di sensibilizzazione affinché le persone abbiano maggiore attenzione per la propria salute, mentre alimentano un ecosistema economico che seduce molti consumatori verso una dieta estremamente malsana. Secondo i Centri statunitensi per il Controllo delle Malattie, il 34% degli americani è obeso. È chiaro che la misura convenzionale della crescita economica - che implica un livello più alto di consumo - non può essere un fine a se stante.

Quarto, il sistema capitalistico odierno sottovaluta enormemente il benessere delle future generazioni. Per la maggior parte del periodo dalla Rivoluzione Industriale in poi, questo punto non ha avuto importanza, poiché i continui benefici dell'avanzamento tecnologico hanno trionfato sulle politiche miopi. In generale, ogni generazione si è trovata meglio di quella precedente. Ma con la popolazione mondiale in aumento sopra i 7 miliardi, e divenendo sempre più evidenti i primi segnali dei limiti delle risorse, non c'è garanzia che la rotta possa essere mantenuta.

Le crisi finanziarie costituiscono ovviamente un quinto aspetto problematico, forse quello che ultimamente ha fatto più riflettere. Nel mondo finanziario, la continua innovazione tecnologica non ha ridotto i rischi in modo significativo, anzi piuttosto potrebbe averli esaltati.

In linea di principio, nessuno dei problemi del capitalismo è insormontabile, e gli economisti hanno offerto una varietà di soluzioni basate sul mercato. Un prezzo mondiale elevato del carbone avrebbe spinto le imprese e gli individui a internalizzare i costi delle loro attività inquinanti. I sistemi fiscali possono essere progettati in modo da offrire una maggiore redistribuzione del reddito senza necessariamente implicare distorsioni paralizzanti, con la riduzione al minimo delle spese fiscali non trasparenti e il mantenimento dei tassi marginali a livelli bassi. Un prezzo effettivo dell'assistenza sanitaria, inclusa la determinazione del prezzo dei tempi di attesa, potrebbe favorire un migliore equilibrio tra eguaglianza ed efficienza. I sistemi finanziari potrebbero essere regolati meglio con una rigorosa attenzione alle eccessive accumulazioni di debito.

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