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Questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre 2011 alle ore 09:00.
L'ultima modifica è del 31 dicembre 2011 alle ore 09:01.

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L'andamento continuamente altalenante dei tassi di interesse sui BoT e lo spread fra BTp e Bund, che lotta invano per scendere sotto i 500 punti con tassi di interesse a 10 anni intorno al 7%, con le banche europee rifinanziate dalla Bce al tasso dell'1%, con le Borse in perdita secca e il disagio di chi deve chiedere un mutuo bancario, inducono a riflettere su almeno due problemi, diversi ma collegati.

Il primo è l'interrogativo che già dieci anni fa si poneva in un importante saggio l'economista Luigi Pasinetti: «È legittimo pagare l'interesse sul debito?» La tassativa risposta, che trova le radici nei suoi precedenti scritti, sta nella priorità del lavoro sul capitale, come ha insegnato il pensiero dei maggiori esponenti dell'economia classica, da Adam Smith a David Ricardo e, pur con le dovute differenze, Karl Marx e Piero Sraffa. Insomma, "il lavoro" inteso nell'ampio senso di attività umana, come capacità di imparare e applicare la conoscenza ai processi di produzione e di consumo, è alla base della "ricchezza delle nazioni".

L'interesse "naturale", in sistemi economici nella continua evoluzione basata sul progresso della conoscenza, che deriva dall'abilità degli esseri umani di apprendere nuove tecnologie e adempiere a vecchi compiti in modi migliori e più efficienti, dipende dalla produttività del lavoro: e in particolare delle imprese al centro delle economie moderne. Ho già sottolineato quanto fondamentali siano per lo sviluppo la cura dell'educazione, la scuola e la ricerca.

È inoltre evidente che il rapporto debito/credito, espresso in denaro, deve tenere conto, per determinare il "giusto" tasso di interesse, del deprezzamento della moneta e quindi di due componenti: una reale (la produttività del lavoro) e l'altra nominale (il tasso d'inflazione monetaria). Questo aggiustamento non cambia la sostanza del problema. Non è un caso poi che «la priorità del lavoro sul capitale» sia anche alla base della dottrina della Chiesa Cattolica, dalla famosa dichiarazione di San Tommaso d'Aquino «nummus non parit nummos» (il denaro non genera denari) all'Enciclica Labor Exercens ed alla più recente Caritas in Veritate, passando attraverso la Rerum Novarum.

Il capitalismo dei mercati finanziari ha rovesciato completamente la priorità e, considerando la moneta e persino il debito come strumenti di ricchezza, ha causato l'attuale crisi, producendo disoccupazione, povertà, diseguaglianza e profonde ingiustizie sociali. Il capitale stesso ha poi perso la sua identità e funzione, tant'è che la formula rovesciata e invocata, nonché variamente motivata, è: «La priorità della speculazione sul lavoro». Speculazione alimentata attualmente da quello che già J.M. Keynes definiva «il desiderio morboso della liquidità». Vengo ora alla seconda riflessione, che riguarda l'Europa e l'Italia in questo momento particolare.

Gli Stati fondatori della Cee ebbero uno scopo primario: l'integrazione economica come primo passo per l'integrazione politica, cioè la creazione di un mercato comune basato sulla libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali e avente come linea direttiva la libera concorrenza. La mancata integrazione politica, soffocata dalla esigenza di ridurre il deficit e di limitare l'inflazione, ha portato a una politica di rigore e di austerità che ha indotto gli Stati membri a esasperare le asimmetrie e le diseguaglianze ed a fare dimenticare il principio di solidarietà sul quale l'Europa pur voleva basarsi. E si è creata una "nuova povertà" all'interno dei singoli Stati membri, favorita dalle politiche di austerità, dalle quali è nata solo disoccupazione e nessuna crescita.

L'Europa ha così dimenticato la priorità del lavoro e, voltate le spalle all'economia classica, è caduta vittima della speculazione finanziaria, dei mercati opachi e anonimi, a danno dei diritti dei cittadini. E questa è anche la ragione per cui la politica economica europea è alla fine dettata sia da chi, impropriamente come la Germania, è più avanti degli altri nella organizzata priorità del lavoro, sicché egoisticamente delle altrui diseguaglianze non si interessa, sia dalla Bce che, ricordiamolo ancora, contrariamente alla Fed americana, non ha tra i suoi scopi fondamentali quello di combattere la disoccupazione. Problema che non la riguarda proprio.

L'uscita dalla crisi, passa attraverso due sentieri che devono convergere per configurare la base di una nuova cultura diretta a illuminare l'attività non solo della politica, ma anche dell'impresa e di tutti i cittadini. I sentieri sono la priorità del lavoro, che è la vera ricchezza delle nazioni, e la realizzazione di una Europa non solo economica, ma politica, che sia solidale indiscriminatamente con tutti i suoi cittadini, secondo l'accorato recente intervento di Helmut Schmidt.

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