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Questo articolo è stato pubblicato il 03 gennaio 2012 alle ore 06:38.

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I lanci di almeno quattro missili, uno antiaereo e tre antinave hanno caratterizzato le grandi esercitazioni navali "Velayat 90" che la Marina iraniana ha effettuato per dieci giorni in un'area marittima estesa per circa 2mila chilometri tra le acque del Golfo Persico e quelle del Mare Arabico passando per lo Stretto di Hormuz.

Proprio in quest'ultimo settore si è tenuta ieri la fase conclusiva, con la più importante delle esercitazioni navali tesa a simulare il blocco dello Stretto al traffico militare e civile: esattamente quanto minacciato da Teheran come rappresaglia al blocco dell'export petrolifero iraniano minacciato dall'Occidente.

Un'ipotesi politicamente improbabile, tanto più che dal ministero degli Esteri iraniano è emersa l'indiscrezione che «l'ayatollah Ali Khamenei, non avrebbe intenzione di ordinare la chiusura dello Stretto di Hormuz» come ha riferito un funzionario coperto da anonimato all'agenzia Adnkronos. Del resto l'Iran potrebbe vendere in Asia il petrolio oggi acquistato dagli europei e sul piano strategico non avrebbe nessun interesse a compiere un atto di guerra, quale sarebbe la chiusura di Hormuz, che offrirebbe ai suoi nemici un valido pretesto per attaccare tutte le infrastrutture militari iraniane, non solo i siti nucleari.
In questo contesto i lanci dei missili antinave Nasr, Nouir e Ghadar confermano la capacità iraniana di effettuare un primo colpo eclatante cioè di poter attaccare unità navali statunitensi, alleate o dei Paesi arabi che nelle acque ristrette del Golfo sarebbero più vulnerabili, soprattutto in caso di attacchi condotti con un numero elevato di missili in grado di saturare i sistemi di autodifesa navali. Armi che costituiscono l'evoluzione dei cinesi C-801 e C-802 (a loro volta copie di missili antinave sovietici) sviluppati congiuntamente dall'iraniana Aerospace Industries Organization con la China Aerospace Science and Industry Corporation per l'imbarco su navi o il lancio da batterie costiere mobili.

Per l'Iran c'è l'orgoglio di testare missili «costruiti da esperti iraniani, che sono riusciti con successo a distruggere i bersagli predeterminati», come ha riferito il portavoce delle manovre navali iraniane e vicecomandante della flotta, l'ammiraglio Mahmud Moussavi. Armi che avrebbero un impatto devastante se impiegate contro le petroliere in transito a Hormuz ma non certo risolutive e, anzi, ben note ai sistemi elettronici di difesa della Us Navy. Con un raggio d'azione compreso tra i 120 e i 200 chilometri potrebbero attaccare anche i porti dei Paesi arabi del Golfo ma non certo Israele (come hanno dichiarato l'agenzia ufficiale Irna e il sito web della tv di Stato), raggiungibile solo con i missili balistici Shahab.
Al di là dei toni utilizzati dalla propaganda di regime, i missili antinave testati in questi giorni consentirebbero all'Iran di combattere con più efficacia la prossima guerra navale del Golfo, non di vincerla. I missili antinave affiancherebbero le mine e i barchini esplosivi dei pasdaran, già protagonisti delle operazioni contro la flotte alleate e le petroliere internazionali nella fase finale del conflitto con l'Iraq, nel 1987-88, ma sarebbero a loro volta tra i bersagli prioritari dei jet statunitensi e delle forze arabe del Consiglio di cooperazione del Golfo.

Il regime di Teheran, al quale probabilmente manca meno di un anno per poter effettuare un test nucleare, non dovrebbe avere nessun interesse a scatenare un conflitto di queste proporzioni ma sembra puntare a mostrare i muscoli e sfidare gli statunitensi che nei giorni scorsi hanno fatto attraversare Hormuz per ben due volte alla portaerei Stennis. La nave da 100 mila tonnellate, dopo la vista simbolica in un porto vicino a Dubai, è rapidamente ritornata negli spazi oceanici proprio per evitare di offrire un bersaglio pagante ai missili antinave iraniani.

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