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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2012 alle ore 09:33.

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A volte sono bizzarre. Spesso però le coincidenze sono anche provvidenziali. Potrebbe o meglio dovrebbe rientrare nella seconda categoria quella che ieri ha visto Mario Monti a Parigi nel ruolo di tessitore di alleanze e pompiere dell'euro, proprio mentre a Washington Barack Obama depennava la centralità dell'Europa dalla strategia di difesa americana.

Con l'ipotesi, per ora ufficiosa, di un prossimo dimezzamento della presenza delle truppe Usa sul nostro continente. A prima vista i due eventi sembrerebbero avere ben poco in comune. Di fatto condividono un richiamo forte e durissimo alle responsabilità europee che latitano da troppo tempo. E che, se dovessero essere assunte in contemporanea sui due fronti, potrebbero presentare un conto insostenibile.

Il mondo cambia, si sposta il baricentro dell'economia e della strategia difensiva globale. L'Europa no, i cambiamenti si limita a subirli quando li decidono gli altri, che si chiamino mercati, Stati Uniti, Cina o chissà chi. Per evitare che questo fallimentare copione si ripeta all'infinito, licenziato il decreto "salva-Italia" il premier Monti si è lanciato nella missione salva-euro. Che ieri lo ha portato a Parigi, presto lo vedrà a Berlino e si concluderà a Londra. In vista del vertice Ue di fine mese che a Bruxelles dovrebbe provare a mettere in bella copia il testo del Trattato sul patto economico e di bilancio europeo.

Mission impossible? Due mesi fa all'improvviso l'Italia era diventata non solo la pecora nera del club della moneta unica, ma il Paese che da solo rischiava di trascinarla nel baratro. Con l'arrivo di Monti al Governo il Paese ha incassato una manovra pesantissima, con alti contenuti recessivi che si dispiegano su un'economia che già è tra quelle che da anni crescono meno nell'eurozona. Ora si prepara a conoscere il pacchetto delle riforme strutturali che, si spera, distribuiscano anche qualche boccata di ossigeno per lo sviluppo.

L'Italia, insomma, ha fatto la sua parte per l'immediato. Lo riconoscono gli stessi mercati che non allentano la tensione sui titoli di Stato decennali ma su quelli a breve hanno dimezzato i tassi, rientrati nella norma per quelli triennali. Proprio perché ha fatto la sua parte, l'Italia non è più il problema dell'euro ma paradossalmente ora si ritrova un grosso problema che si chiama euro. In stato confusionale. Non solo perché in balia di una crisi di sfiducia intra-europea che ne paralizza ogni credibile e durevole capacità di governance.

Non solo perché ostaggio di un vuoto di leader e di leadership che lo condanna a restare al traino degli umori dei mercati invece che ispirarli. Non solo perché vittima di errori e incompetenza, miopie, nazionalismi e elettoralismi di chi ne ha in mano il timone.

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