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Questo articolo è stato pubblicato il 10 gennaio 2012 alle ore 08:18.
L'ultima modifica è del 10 gennaio 2012 alle ore 08:22.

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Per i correntisti di UniCredit niente è cambiato rispetto a sei giorni fa, quando sono state annunciate le condizioni del maxi-aumento di capitale da 7,5 miliardi. Anzi, l'operazione (garantita e quindi virtualmente già in cassa) aggiunge forza patrimoniale al gruppo. Mettendolo in sicurezza rispetto alle regole di Eba e Sifi. Le novità riguardano piuttosto i vecchi azionisti, che vedranno diluire l'utile per azione di circa il 60% dopo l'offerta delle nuove azioni a un prezzo scontato del 43%.

Il nodo, dunque, è solo il valore della banca in Borsa che, arrivati a ieri sera, era sceso a 5,3 miliardi di euro. Valore irrisorio, se si pensa al valore che il mercato dà a due delle banche controllate da UniCredit nella New Europe: la polacca Bank Pekao (controllata al 59,2%) vale 8,046 miliardi di euro; la turca Yapi Kredi (partecipata al 44,9%) vale 4,646 miliardi. Anche ipotizzando che UniCredit decidesse di cedere le due quote senza incassare un premio di maggioranza, la somma delle due partecipazioni vale circa 7 miliardi.

E a queste controllate si aggiungono la seconda banca in Germania (Hvb), la prima in Austria, il vasto network bancario nell'Europa dell'Est (fino ad arrivare alla redditizia branch in Russia che, da sola, ha prodotto utili per circa 400 milioni). A tutto ciò si aggiunge la prima banca italiana, nata dalle fusioni e acquisizioni del Credito Italiano con Crt, CariVerona, Cassamarca, Credito Romagnolo, Banca di Roma, Banco di Sicilia, Bipop. Proprio l'Italia, nelle valutazioni degli investitori internazionali, è da mesi una zavorra per le valutazioni del gruppo. Per il rischio collegato ai titoli di Stato in portafoglio, certo.

Ma anche per le ipotetiche nuove rettifiche su crediti alle imprese in un Paese che da anni non cresce. Tutti elementi noti da mesi, e già scontati nei prezzi e nelle valutazioni. Niente che spieghi la caduta irrazionale dei prezzi degli ultimi giorni: il 56% dal 4 gennaio. Su cui hanno pesato le ingenti vendite allo scoperto della scorsa settimana, su cui la Consob ha aperto un faro. Poichè con le attuali restrizioni allo short selling lo scoperto è più difficile da realizzare, è fatale che l'attenzione delle Authority si concentri in prima battuta su chi dispone di grossi pacchetti UniCredit. Possibile che gli azionisti stabili del gruppo abbiano scommesso in Borsa contro la banca? Toccherà alla Consob verificarlo. L'esigenza del mercato – soprattutto della vasta platea dei piccoli risparmiatori – è che tutta l'operazione avvenga con la massima trasparenza. E con una pronta informativa al mercato, anche aldilà delle soglie rilevanti. Ieri, nel primo giorno di trattazione dei diritti di opzione, il flusso degli ordini è apparso regolare.

Il valore dei diritti è crollato, come accade quasi sempre nei primi giorni di trattazione: chi non intende sottoscrivere, corre a vendere il diritto a inizio operazione. Ma l'azione resta sopra al valore di convenienza a sottoscrivere del 10-15%. La vera partita di mercato si giocherà nei prossimi giorni. In attesa che il vero valore della banca, nella girandola di derivati e arbitraggi che caratterizzano un'operazione di questa dimensione, torni a emergere dopo la conclusione dell'aumento.

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