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Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2012 alle ore 10:00.

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La fiducia nell'Europa sta ritornando sui mercati, come dimostrano i risultati dell'asta dei nostri titoli di ieri. Un contributo decisivo può arrivare indirettamente dalle nuove decisioni della Banca centrale americana (Fed), e direttamente dalla politica che la Banca centrale europea (Bce) sta perseguendo. La tela della fiducia ha una trama delicata. Il ritmo favorevole che il duetto di Fed e Bce può imprimere alla gestione della crisi può essere però rovinato dalle note fuori tempo rappresentate dalla scelte sulla regolamentazione decisa dall'Autorità bancaria europea (Eba).

L'esito positivo dell'asta dei titoli pubblici italiani di ieri è solo l'ultimo di una serie di indizi che mostrano un miglioramento del livello di fiducia sulle prospettive dell'Unione europea. È bene subito chiarire che la situazione strutturale dell'Unione assomiglia sempre a quella di un piano inclinato. La sua architettura ha ben disegnato la parte monetaria, molto meno quella fiscale. La pessima congiuntura mondiale ha reso non più sopportabile le carenze della disciplina fiscale europea. Finché l'Unione – speriamo presto – non renderà operativo il nuovo Patto di stabilità il piano continuerà a essere inclinato, ma la pendenza dipende di giorno in giorno da quanto le politiche nazionali ed europee, e le conseguenze delle politiche internazionali, vadano a rafforzare – oppure a indebolire – la credibilità del cammino verso la nuova Unione.
Un contributo decisivo lo stanno dando le prospettive della politica monetaria, in virtù sia delle scelte appena compiute dalla Fed di Ben Bernanke che della politica avviata da dicembre dalla Bce di Mario Draghi.

La Fed ha da qualche giorno annunziato che continuerà la politica monetaria espansiva fino al 2014, ma al tempo stesso ha esplicitamente definito un obiettivo di controllo dell'inflazione intorno al 2%. È una buona notizia che la banca centrale americana inizi un po' a legarsi le mani con un obiettivo più attento alla dinamica dei prezzi. La Fed è una banca centrale senza un mandato definito; per cui è molto soggetta all'influenza della politica. La Fed è inoltre molto coinvolta nella vigilanza delle banche; per cui è anche molto soggetta all'influenza delle banche. Non è un caso che la crisi finanziaria sia nata anche a causa di una politica monetaria troppo espansiva e di una cattiva vigilanza sui mercati bancari.
E non è quindi neanche un caso che la Fed abbia annunziato il proseguimento della sua politica di espansione della immissione di moneta. Il 2013 è un anno elettorale, ed il presidente Obama ha un grosso credito da riscuotere nei confronti della Fed. Infatti, nonostante le pessime scelte di politica monetaria e della vigilanza avessero da più parti avanzato la richiesta di ridimensionare il ruolo della Fed e ridiscuterne lo status e la discrezionalità, Obama ha al contrario premiato la Banca centrale americana con la sua riforma del 2010, aumentandone i poteri.

Ma la conferma della fase di espansione monetaria è stata temperata dall'annunzio di un obiettivo di stabilità monetaria. Questo potrebbe essere un importante progresso in termini di disciplina monetaria della Banca centrale negli Stati Uniti, che – a parte l'esperienza di successo del Presidente Volcker, che riportò sotto controllo l'inflazione – hanno poi sempre abiurato una pratica che riduce la capacità del banchiere di fare quello che gli pare, compreso assecondare il ciclo della politica e quello degli affari delle finanza.
Per cui – almeno per il momento – il rischio di una ennesima ed inutile inondazione di liquidità è ridotto. Nessuna restrizione, ma anche nessuna esondazione. Un buon risultato, soprattutto tenendo conto delle pressioni in atto ad attuare ulteriori tracimazioni monetarie: le richieste vanno da una nuova espansione monetaria alla definizione di un tasso di inflazione che sia almeno del 4%. Una maggiore stabilità monetaria può avere positivi effetti anticiclici.

Una maggiore disciplina della Fed ben si sposa con la disciplina monetaria che l'Europa sta seguendo. La Bce controlla strutturalmente la stabilità dei prezzi ed è credibile, in quanto, essendo indipendente e non esercitando compiti di vigilanza, è distante sia dai politici che dalle banche. Quindi la nostra Banca centrale ha potuto occuparsi della gestione congiunturale della liquidità, operando sul mercato secondario dei titoli ed attraverso il rifinanziamento delle banche. Anche la disciplina monetaria della Bce può avere positivi effetti anticiclici.
Dunque l'effetto congiunto delle scelte delle due maggiori Banche centrali sta contribuendo e potrà ancora contribuire a rendere il piano della crisi europea meno inclinato. Purtroppo la nota stonata è rappresentata dalle scelte dell'Eba, la cui natura pro ciclica e relativa dannosità risultano ancora più evidenti, se confrontate con le politiche della liquidità.

Poiché l'Eba non è un'autorità indipendente dalla politica europea, occorre dire che è l'Unione europea ad avere le maggiori responsabilità: è necessario non solo attuare in fretta le politiche di disciplina fiscale, ma anche “rimangiarsi” le sciagurate decisioni dello scorso ottobre, che hanno poi autorizzato l'Eba a dare il suo personale contributo a rendere la pendenza del piano sempre più inclinata.
Certo la lista di chi finisce per disfare la trama della fiducia nell'Europa europea è lunga e sempre da aggiornare: basti pensare all'annuncio di declassamento del nostro Paese da parte di Fitch. Ma che di questa lista possa far parte un giorno anche un'autorità europea è davvero preoccupante.

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