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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2012 alle ore 07:58.
L'ultima modifica è del 01 febbraio 2012 alle ore 06:35.

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Le autorità economiche sono più ottimiste rispetto a due mesi fa. Il motivo principale di questa maggiore fiducia è la convinzione che la Banca centrale europea, sotto l'accorta guida di Mario Draghi, abbia eliminato il rischio di un'implosione finanziaria dell'eurozona.

Come ha osservato Mark Carney, stimato governatore della Banca del Canada nonché successore di Draghi a capo del Financial stability board, al Forum economico mondiale di Davos: «Non ci sarà un evento devastante come la Lehman in Europa. Questo conta». Gli spread sui Cds delle banche italiane e spagnole sono diminuiti da quando la Bce, a dicembre, ha dato il via alle operazioni di rifinanziamento a lungo termine per tre anni. Anche gli spread fra i rendimenti dei titoli di Stato di alcuni Paesi a rischio e i Bund tedeschi sono scesi.
Significa che la crisi dell'euro è finita? Assolutamente no. La Bce ha salvato l'eurozona da un arresto cardiaco, ma i suoi membri hanno davanti una lunga convalescenza, resa ancora più impervia dall'ostinazione che la medicina giusta per i pazienti malati sia chiudere i rubinetti della spesa pubblica.

La revisione al ribasso delle previsioni del Fondo monetario internazionale, la settimana scorsa, mostra i pericoli. L'Fmi prevede per quest'anno una recessione nell'eurozona, con un calo del prodotto interno lordo complessivo dello 0,5%. Il Pil dovrebbe registrare un brusco arretramento in Italia e in Spagna e rimanere al palo in Francia e in Germania: un contesto terribile per Paesi che cercano di ridurre il loro deficit. Anche per altri Paesi ad alto reddito le previsioni sono tutt'altro che soddisfacenti, ma l'eurozona è l'area di maggior pericolo dell'economia mondiale: solo qui si vedono Stati importanti come Italia e Spagna che corrono il rischio di perdere il credito dei mercati.
Fuori dall'eurozona i Governi di Paesi ad alto reddito possono continuare a sostenere l'economia, soprattutto perché dispongono di una Banca centrale e di un tasso di cambio aggiustabile. Grazie a questi due aspetti, sono in grado di sopportare deficit di grande portata.

Nelle condizioni del dopo-crisi, questi deficit sono il corrispettivo naturale e il principale fattore che agevola il necessario deleveraging del settore privato. L'eurozona non dispone di questi meccanismi interni. Quando si è prosciugato il canale di finanziamento del settore privato esterno, come è successo a diversi Paesi, gli Stati membri colpiti si sono trovati ad aver bisogno sul breve termine di finanziamenti e sul lungo termine di un meccanismo per correggere il saldo con l'estero che non sia semplicemente passare attraverso una pesante recessione. L'eurozona non possiede nessuna della due cose e si è scoperto che ha pochi strumenti per affrontare il malessere finanziario globale. Come ha osservato a Davos Donald Tsang, capo dell'esecutivo di Hong Kong: «Non sono mai stato spaventato come adesso».

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