Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2012 alle ore 08:09.

My24

Troppo rigidi con la Grecia? Il dubbio comincia a serpeggiare in Europa in modo sempre più evidente. Però Germania e Commissione europea rispondono convinte di no, che la nuova stretta imposta al Paese per garantirgli un nuovo pacchetto di aiuti da 130 miliardi è un atto dovuto. Perfettamente sostenibile. La rivolta di Atene, 40 palazzi incendiati, la disperazione nelle strade non impressionano più di tanto i virtuosi del Nord.

«Vogliamo fare di tutto per aiutare la Grecia a uscire dalla crisi. Quel che vediamo in questi giorni è molto meno di quello che potrebbe succederle se i tentativi di tenerla nell'area euro dovessero fallire» ha avvertito ieri il ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schäuble. «Tuttavia oggi siamo molto meglio preparati ad affrontare un eventuale crollo rispetto a due anni fa». Niente concessioni ma un diktat esplicito. Neanche Olli Rehn, il commissario Ue competente, è disposto a demordere dalla linea dura: «Conosco la situazione in cui vivono i greci. Sfortunatamente hanno vissuto per troppo tempo sopra i loro mezzi».

Lo scontro tra la cieca rigidità dei soliti noti e gli sforzi ciclopici e immediati pretesi dai greci ancora non ha provocato il corto circuito. Ma potrebbe arrivare. Per ora è saltata la riunione a Bruxelles dei ministri dell'Eurogruppo che oggi avrebbe dovuto approvare il secondo salvataggio di Atene dal baratro. In una sola settimana, dunque, un altro match nullo, mentre si accorciano pericolosamente i tempi tecnici per evitare il disastro che, senza accordo, si materializzerà il 20 marzo.

«Di quanto tempo avrà ancora bisogno la Commissione Ue per rendersi conto che le misure di sola austerità non funzionano in Europa? Né i popoli né i mercati accetteranno mai i provvedimenti draconiani imposti oggi ad Atene» ha tuonato l'austriaco Hannes Swoboda, leader degli eurosocialisti, dalle tribune dell'Europarlamento. Che ieri ha deciso di inviare in Grecia una troika alternativa «per concordare misure che non siano controproducenti come le attuali». Anche per il finanziere George Soros «sfortunatamente Angela Merkel sta conducendo l'Europa nella direzione sbagliata».

Al suo quinto anno di recessione (l'anno scorso l'economia si è contratta di un altro 6,8%, con un -7% annuo nell'ultimo trimestre), la Grecia ha appena approvato in Parlamento un nuovo programma di tagli e riforme "lacrime e sangue" da 3,5 miliardi. Ma nel Paese, già tartassato dalla cura dimagrante in atto, cova la rivolta: contro altri tagli alle pensioni, la riduzione del 22% del salario minimo, il licenziamento di 15mila statali nel 2012 per un totale di 150mila entro il 2015.

E ancora mancano all'appello risparmi per 325 milioni (ieri il Governo ha messo a punto nuovi tagli alle pensioni e alla difesa) e, soprattutto, l'impegno scritto di tutti i partiti politici a rispettare la tabella di marcia anche dopo le elezioni di aprile. Per questo l'Eurogruppo è stato rimandato a lunedì.

Più il tempo passa, più la crisi intra-europea si aggrava e più cresce la sensazione che la politica del nudo rigore somministrato senza un gesto di autentica solidarietà e senza neanche il tonico della crescita economica sia destinata a mettere in croce non solo la Grecia ma l'Europa intera. Tanto più che le medicine amare sono distribuite ad alcuni ma risparmiate ad altri.

Prendiamo la Germania, l'attuale e indiscusso deus ex machina del club della moneta unica. Proprio ieri Rehn ha distribuito reprimende sugli squilibri macroeconomici accumulati in Europa. Di frustate ce ne sono state per tutti. Miracolosamente però Berlino è stata risparmiata, nonostante ostenti per l'ultimo triennio un surplus dei conti correnti del 5,9% del Pil, superato soltanto dal 6,4% del micro-Lussemburgo. «Nei prossimi mesi faremo altre analisi sulle divergenze tra gli Stati» si è difeso il commissario.

Certo, una cosa alla volta. Ma con l'Europa in recessione, l'economia tedesca (+0,4% il Pil 2012 secondo l'Ocse) che frena, e la Grecia stremata da un quinquennio di sviluppo negativo impastato di austerità a getto continuo, logica di "famiglia" vorrebbe che dalla severissima Berlino che impone disciplina arrivasse almeno un po' di stimoli in più alla propria domanda interna per distribuire un po' di ossigeno ai partner in difficoltà. Niente da fare. Peggio, non succede niente con l'assenso di Bruxelles che pure dovrebbe essere il garante dell'interesse collettivo, cioè del rigore sì ma sostenibile.

L'incongruenza di questa politica del doppiopesismo, tutta ad uso e consumo dei Paesi più forti, glissa anche sulla classifica, pubblicata ieri, dell'indebitamento cumulato (pubblico, privato e delle società non finanziarie) nell'eurozona, che vede al primo posto l'Irlanda, la Francia al 12°, la Germania al 14°, l'Italia al 15° e la Grecia al 16°, sì proprio al sedicesimo. Naturalmente conta la sostenibilità del debito. Però anche il volume vuole la sua parte.

Tutti, dunque, hanno i propri scheletri negli armadi. Invece del rigore forsennato, questo dovrebbe consigliare un approccio alla crisi più ragionevole ed equilibrato. Perché l'Europa della disperazione, dopo quella della speranza che ha distribuito benefici a tutti per decenni, non è nell'interesse di nessuno.

Shopping24

Dai nostri archivi