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Questo articolo è stato pubblicato il 21 febbraio 2012 alle ore 12:19.

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Il ministro degli Esteri marocchino, Saad Dine El Otmani (Ap/LaPresse)Il ministro degli Esteri marocchino, Saad Dine El Otmani (Ap/LaPresse)

Sicurezza comune. E insieme a questa rapporti economici, investimenti e strumenti del credito, crescita della piccola impresa, lavoro, educazione, università, collaborazione piena fra le sponde del Mediterraneo. A tre ore di volo o una giornata di navigazione da noi, è in corso un cambiamento epocale: è un grande rischio e una magnifica opportunità. Per tutti.

È perché prevalga la seconda opzione che ieri si sono incontrati a Roma 13 Paesi del Nord e del Sud del Mediterraneo, più le organizzazioni multilaterali della regione. Non è stato un vertice ma due vertici: il Dialogo 5+5 fra Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Malta più Marocco, Algeria, Tunisia, Libia e Mauritania. E il Foromed: gli stessi Paesi più Egitto, Turchia e Grecia, perché si confermi «un sostegno condiviso alle istituzioni democratiche e al rilancio economico» della sponda Sud, come spiega Giulio Terzi.

In realtà, chiarisce il ministro degli Esteri, più che un vertice è stato uno scambio di idee e di necessità, un brainstorming. Questi organismi che non si riunivano da troppo tempo, ieri non hanno preso decisioni ma discusso sul modo più adeguato per prenderle. «Dobbiamo chiederci – insiste Terzi – se i nostri strumenti finanziari e di cooperazione sono adeguati». Il "Partenariato di Deauville" scritto all'ultimo G-20, ha indicato cifre e obiettivi dell'aiuto economico e finanziario alle Primavere arabe. È più vago sui tempi e ancora di più sui meccanismi di attivazione reale degli investimenti. E c'è l'Unione per il Mediterraneo, il grande quadro regionale del quale il "5+5" dovrebbe essere un tassello e invece ne è lo strumento d'azione: perché l'Unione ha dimostrato di non saper funzionare. E c'è il Fondo per la partnership mediterranea, creato dal ministero degli Esteri come veicolo finanziario pubblico-privato, aperto ai Paesi e ai fondi d'investimento per finanziare piccole e medie imprese, creare lavoro, stimolare gli investimenti. Per le Pmi, al Fondo collabora il Centro Euro-med della Camera di Commercio di Milano/Promos.

È tutto questo che va riordinato e, nelle intenzioni del vertice/non vertice di ieri a Roma, reso funzionante. Come dice Terzi, se la Primavera araba ha una «dimensione regionale», anche dall'Europa occorre una risposta corale. L'idea italiana è di fare del "5+5" una specie di lobby mediterranea a Bruxelles dove continua a dominare uno scetticismo nordico per tutto quello che viene dal Sud: siano debiti sovrani europei o aiuti alle primavere arabe. Il "5+5" si terrà annualmente e a ottobre, a Malta, diventerà un vertice con i capi di Stato e di Governo.

«I Paesi della sponda Sud del Mediterraneo devono assicurare un quadro politico e normativo per gli investimenti», dice Giulio Terzi. Al momento non c'è molto di preciso. In Egitto, piuttosto, c'è molto di preoccupante: si è sviluppata nelle nuove classi dirigenti e fra la gente la convinzione che tutti gli accordi economici fatti ai tempi di Mubarak, siano un prodotto della corruzione. Oggi il ministro degli Esteri egiziano Mohammed Kamel Amr incontra gli imprenditori italiani: dovrebbe rassicurarli.

Ma quando invita a garantire un quadro chiaro per gli investimenti, Terzi sottolinea di non voler proporre «condizioni» sugli investimenti italiani ma «un dialogo costante fra le parti». Come il nuovo approccio sull'immigrazione clandestina che non va più visto solo come un problema Nord-Sud ma anche Sud-Sud. Le centinaia di migliaia di giovani africani che vogliono raggiungere l'Europa pesano sui Paesi meridionali del Mediterraneo.

Infine la Siria, per ricordare la parte pericolosa delle Primavere. «Non vogliamo un altro Iraq», dice il ministro degli Esteri tunisino Rafik Abdessalem. «In Siria vogliamo vedere un cambiamento radicale ma nessun Paese arabo vuole un intervento militare. Tantomeno gli europei». Onu, Lega Araba e unità delle opposizioni siriane saranno gli strumenti del cambiamento. Venerdì a Tunisi ci sarà un vertice dei Paesi "Amici della Siria". Per la prima volta dovrebbero partecipare anche russi e cinesi.

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