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Questo articolo è stato pubblicato il 23 febbraio 2012 alle ore 08:02.
L'ultima modifica è del 23 febbraio 2012 alle ore 06:35.

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La lettera sulla crescita e le liberalizzazioni di dodici Governi europei che, su iniziativa dei premier inglese (David Cameron), italiano (Mario Monti) e olandese (Mark Rutte) è stata inviata al Consiglio e alla Commissione europei, non è stata firmata, come è noto, da Germania e Francia.

E tutto si può dire meno che rappresenti un'iniziativa politica tra le tante, e non solo perché non è stata sottoscritta dal "direttorio" franco-tedesco.
Non è un caso che questa mossa sia stata anticipata dallo stesso Monti nell'incontro a Milano con la comunità finanziaria italiana. Si parla di Europa, ma si parla in controluce anche di Italia e proprio nel momento in cui al Senato si fa più serrato e duro il confronto sul decreto-liberalizzazioni.
Una crisi di crescita come quella che viviamo presuppone un approccio sviluppista. La lettera punta a una svolta modernizzatrice: apertura del mercato interno dei servizi, abbattimento delle restrizioni anticompetitive, creazione di un mercato unico digitale entro il 2015 e di un mercato efficiente e interconnesso nel settore energia entro il 2014, compresa l'eliminazione degli ostacoli, normativi e procedurali, che rallentano gli investimenti nelle infrastrutture.
È assai probabile che questa impostazione non sia piaciuta a Berlino e Parigi, che sul tema delle liberalizzazioni sono storicamente fredde, per non dire ghiacciate, a difesa dei loro "campioni nazionali". Monti lo ha detto chiaro e tondo quando ha osservato che su tutte le reti dell'energia e delle telecomunicazioni l'accesso deve essere libero per tutti e in condizioni di reciprocità. E non è vero che l'Italia su questi terreni sia sempre il fanalino di coda. Ad esempio, nel riassetto delle reti elettriche ad alta tensione (settore che fa capo a Terna) siamo all'avanguardia mentre Francia e Germania figurano molto indietro.

Questo non toglie che l'Italia, Paese dove la cultura del mercato e della concorrenza ha sempre faticato ad emergere, non abbia bisogno di sterzate. Sia per aprire i mercati, partendo dal presupposto che prima vengono le liberalizzazioni e poi, evitando di trasferire un monopolio pubblico a uno privato, le privatizzazioni. E sia puntando sugli investimenti indispensabili per un Paese in deficit di modernità.
Ci sono cose, opere (compiute e incompiute) che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Sono le reti visibili, a volte anche troppo perché lo spettacolo è pessimo in tutti i sensi. Parliamo di autostrade, ferrovie, porti, aereoporti che hanno bisogno di investimenti per offrire un servizio migliore e a costi migliori.
Parliamo dei rigassificatori visibili, sì, ma solo su carta mentre da anni si discute di vulnerabilità dell'assetto energetico. In alcuni casi, peraltro, come dimostrano le analisi dell'Istituto Bruno Leoni, le liberalizzazioni - nell'energia elettrica e nella telefonia - si sono tradotte in costi del servizio aumentati meno del livello medio dei prezzi. Peccato che uno svariato elenco di sovrapprezzi politici si scarichi però sulle bollette dell'energia facendo pagare al consumatore industriale molto di più di quello che pagano i concorrenti.
Ci sono poi le reti meno visibili o invisibili. Telecomunicazioni, banda larga ed ultralarga, insomma l'economia dell'innovazione digitale che dalla pubblica amministrazione ai nuovi media "attraversa" gli interessi dei cittadini e delle imprese. I costi del cosiddetto "digital divide" sono enormi. Secondo l'Ocse, se le imprese aumentassero solo dell'1% il loro fatturato attraverso le vendite online l'export italiano crescerebbe dell'8%.

La crescita passa (anche) per queste strade ed il confronto politico sul decreto "Cresci-Italia" va ben oltre i casi dei taxi o delle farmacie. Siamo di fronte ad un progetto complesso, che mette spesso in gioco interessi forti (separazione proprietaria di Eni da Snam, molto apprezzata dall'Europa, o la battaglia sul comma 6 dell'articolo 21 che permetterebbe alle società concessionarie di infrastrutture di riconoscere in tempi certi il valore delle opere già realizzate per facilitare nuovi investimenti). Fermezza ed equilibrio, nella partita strategica delle reti, devono camminare di pari passo: né gli scivoloni né gli arrembaggi farebbero alzare di un millimetro il tasso di modernità dell'Italia.

twitter@guidogentili1

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