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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2012 alle ore 09:14.
L'ultima modifica è del 06 marzo 2012 alle ore 09:14.

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Ci sono alcune diversità importanti, non solo geografiche. Ma i dilemmi di fronte ai quali la vittoria elettorale di Putin pone noi, il nostro mercato, i suoi interessi e i nostri investitori, sono simili a quelli che avevano sollevato le cadute di Mubarak e Gheddafi o le ambizioni nucleari del regime iraniano. Ci deve essere una correlazione o è giustificabile una vacanza, fra i nostri interessi pratici e i nostri valori morali?
Il destino ha stabilito che le risorse energetiche a cui attingono le nostre economie siano in luoghi instabili, complessi e illiberali. Più di un esperto ha indicato proprio nell'abbondanza petrolifera la ragione della mancanza di democrazie e società civili nei Paesi che la possiedono. La Russia è un caso diverso: autoritarismo e illiberalità sono parte di una storia più antica. Ma certo la bonanza energetica ha permesso a Putin di rivendicare successi economici altrimenti impossibili.

E in cambio di un benessere mai visto prima dalla gente, né con gli zar né con l'Urss, di imporre le sue politiche autoritarie con un certo consenso popolare. Senza gas e petrolio l'impero russo sarebbe in declino, nonostante i nove fusi orari: la sua industria manifatturiera non è da G-20; le forze armate ancora gigantesche per essere efficienti; la continua e preoccupante crisi demografica drena energia e per prendere un Nobel gli scienziati russi vanno all'estero.
Ma se lo si guarda lontano dalle stagioni elettorali e non ne si irrita la sensibilità nazionalistica con scriteriati allargamenti della Nato o scudi missilistici da improbabili nemici, Vladimir Vladimirovic Putin è quasi sempre stato un buon partner per gli occidentali. Un accordo preso con lui era un accordo. Per questo nel suo caso i dilemmi citati prima fra interesse e morale offrono applicazioni più sfuggenti che in Medio Oriente. Con Putin l'Italia ha goduto di un rapporto personale, attraverso le visite anche private di Silvio Berlusconi e le vacanze di Putin in Costa Smeralda. Era così pure con Gheddafi e Mubarak. Ne ottenevamo indubbiamente dei benefici rispetto ai Paesi concorrenti. Nel caso russo questo però si scontrava con una politica energetica europea alla quale avevamo aderito ma che quasi fingevamo di non aver sottoscritto. Non è il caso di scandalizzarsi. Dove e quando francesi, inglesi e tedeschi si sono trovati in questa condizione di privilegio ne hanno approfittato non meno di noi.

Il problema, comunque, ora si pone per tutti. Difficilmente dal mondo occidentale e democratico arriveranno a Putin messaggi di felicitazioni: il dubbio che anche queste siano elezioni manipolate è forte. E comunque i meccanismi costituzionali erano già stati manomessi affinché Vladimir Vladimirovic resti al potere fino al 2018, forse al 2024. Solo per restare nel panorama delle potenze illiberali, dopo Deng Xiaoping in Cina nessun presidente è mai rimasto al potere per più di 10 anni.
Riprendendo a trattare da oggi con Putin dovremo tenere conto della protezione dei nostri contratti energetici. Contemporaneamente anche di una Primavera russa in movimento lento ma che potrebbe esplodere fra le mani del potere, come è accaduto in alcuni Paesi arabi: dove invece politici e investitori di casa nostra furono colti di sorpresa e impreparati. Il Paese di Putin non è quello di Breznev: è ormai interconnesso con l'economia globale e con l'Occidente. C'è tuttavia un'opzione, apparentemente disperata ma tentatrice. Se la piazza democratica solleverà problemi seri, Putin potrebbe essere tentato di reagire su un terreno caro a lui caro e a molti suoi connazionali: quello di una Russia grande potenza, alternativa all'Occidente. Un asse potenziale c'è: Venezuela, Cuba, Siria, Iran, Cina. In questa ipotetica alleanza d'interessi non c'è ideologia, zero democrazia e poca religione. Ma tante risorse energetiche.

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