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Questo articolo è stato pubblicato il 08 marzo 2012 alle ore 09:56.
L'ultima modifica è del 08 marzo 2012 alle ore 09:56.
Aderire all'offerta di Atene, tenere duro nella remota speranza di recuperare l'investimento iniziale o liquidare i titoli sul mercato? Il risparmiatore si sarà sicuramente perso nella girandola di opzioni possibili per uscire dall'incubo dei bond greci. La sua scelta, ormai, l'avrà compiuta visto che le banche chiedevano un anticipo di alcuni giorni rispetto al termine di questa sera concesso agli investitori privati.
Ma le sue certezze terminano purtroppo qui, perché qualsiasi decisione adottata equivale allo stato attuale più o meno a un salto nel buio.
Difficile infatti capire quali siano le reali possibilità di spuntare condizioni migliori rispetto a quelle proposte dal governo ellenico nel caso si sia deciso di conservare i bond: quale soglia di adesione sarà raggiunta? Scatteranno le clausole di azione collettiva che renderanno obbligatorio per tutti lo scambio? Soltanto i giorni a venire scioglieranno questi nodi e decreteranno la sorte di chi non si è voluto rassegnare fino all'ultimo.
Anche chi si è consegnato di nuovo nelle mani della Grecia (e di chi dovrà salvarla) non può però certo dire di aver chiuso la partita qui. In cambio otterrà infatti sì titoli emessi dal fondo salva-stati Efsf a scadenza breve che sono in fondo denaro sonante (anche se pari soltanto al 15% del valore nominale), ma anche warrant legati al Pil greco e soprattutto 20 nuovi bond di Atene con cedole modeste (fra il 2 e il 4,3%) e del valore nominale pari al 31,5%.
A meno di non provare a vendere subito questi titoli (e portare definitivamente a casa le minusvalenze) finirà quindi per legarsi di nuovo ai destini di un Paese che, nonostante questa operazione, non offre alcuna certezza di ripresa, con una crescita a picco e un deficit che gli analisti proiettano al 160% del Pil anche nel 2020. L'unica cosa fuori da ogni dubbio (perdite a parte) è che la partita non termina certo qui.
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