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Questo articolo è stato pubblicato il 25 marzo 2012 alle ore 19:13.
Per i licenziamenti soggettivi o disciplinari, il regime sanzionatorio prevede un'articolazione intema. Se si accerta la non giustificazione del licenziamento per l'inesistenza del fatto contestato al lavoratore o la riconducibilità dello stesso alle condotte punibili con una sanzione minore alla luce delle tipizzazioni di giustificato motivo soggettivo e di giusta causa previste dai contratti collettivi applicabili (situazioni che denotano un uso particolarmente arbitrario del potere di licenziamento), il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del dipendente e al risarcimento dei danni retributivi patiti, dedotto quanto percepito o percepibile dal lavoratore, entro un massimo di 12 mensilità di retribuzione. Prevista anche la condanna al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali, dedotto quanto coperto da altre posizioni contributive eventualmente accese nel frattempo. In questa ipotesi, il lavoratore mantiene la facoltà di scegliere, in luogo della reintegrazione, un'indennità sostitutiva pari a 15 mensilità. La reintegrazione si applica anche ai licenziamenti intimati, prima della scadenza del periodo cosiddetto di comporto, a causa della malattia nella quale versa il lavoratore, e a quelli motivati dall'inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ma trovati illegittimi dal giudice. Nelle altre ipotesi di accertata illegittimita del licenziamento soggettivo o disciplinare, non c'è condanna alla reintegrazione, ma al pagamento di una indennità risarcitoria che può essere modulata dal giudice tra 15 e 27 mensilita di retribuzione, tenuto conto di vari parametri. L'Indennità risarcitoria vale anche per le ipotesi di licenziamento viziato nella forma o sotto il profilo della procedura disciplinare. Tuttavia, se l'accertamento del giudice si limita alla rilevazione del vizio di forma o di procedura, esso comporta l'attribuzione al dipendente di un'indennità compresa fra 7 e 14 mensilita di retribuzione, a meno che il giudice non accerti anche un difetto di giusticazione del licenziamento, nel qual caso si applicano le tutele di cui sopra.
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