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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2012 alle ore 09:15.

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Monti: all'estero attesa per la riforma. Nella foto il presidente del Consiglio, Mario Monti, al suo arrivo all'aeroporto di Beijing insieme alla moglie Elsa (AP Photo)Monti: all'estero attesa per la riforma. Nella foto il presidente del Consiglio, Mario Monti, al suo arrivo all'aeroporto di Beijing insieme alla moglie Elsa (AP Photo)

dal nostro inviato Gerardo Pelosi
PECHINO - Nella saletta al 16° piano dell'Hotel Kempinski, al riparo da sabbia e smog che spazzano le vie di Pechino, Low Jiwei, presidente del China investement Corporation (Cic) quinto fondo sovrano più grande del mondo, passa ad elencare davanti al presidente del Consiglio italiano, gli elementi che avevano sconsigliato, nel settembre del 2011, di investire in Italia. Cita, oltre all'alto debito e all'evasione fiscale, anche la rigidità del mercato del lavoro. Mario Monti si gira verso i suoi collaboratori e, con un mezzo sorriso, dice: «Se in Italia lo sapessero..».
Poi comincia con la sua "lezione", praticamente la stessa da quando è in viaggio in Oriente. Ricorda che le ultime previsioni Ocse sulla recessione confermano la validità delle riforme italiane e che non ci sarà bisogno di nuove manovre di aggiustamento dei conti perché la manovra di dicembre era già «fin troppo prudente». Spiega a Low Jiwei, così come aveva fatto a Seoul con il presidente cinese Hu Jintao che non esiste più un «rischio Italia» e sono infondate le preoccupazioni che hanno tenuto finora lontani gli investitori stranieri.

L'Italia che "vende" qui Mario Monti è «un Paese che si sta rinnovando rapidamente non solo grazie al fattore governo ma anche alle forze politiche che lo sostengono e che stanno cercando il rinnovamento al loro interno ma soprattutto grazie agli italiani che stanno dando prova di grande maturità». I cittadini italiani, aggiunge Monti nel suo ragionamento, «hanno dimostrato di sapere guardare avanti se ci sono forze politiche che guardano avanti e non si limitano ai loro calcoli elettorali di breve durata».
Spesso all'estero, osserva sempre il premier, ci viene detto: l'Italia ci ha sorpreso per politiche anche dure di riforma realizzate in tempi così brevi ma cosa succederà nel 2013 quando i partiti torneranno al Governo? «La risposta che io do qui, come a Londra o a New York, è sempre la stessa - dice Monti - io ci credo, se anche voi fate lo stesso trasmetterete la fiducia ai vostri interlocutori». «Credo - comincia a dire Monti, ma poi subito si corregge - anzi, sono sicuro che dopo le elezioni del 2013 torneranno governi politici come è naturale che sia ma non ci sarà un ritorno al passato; perché questo esperimento modificherà i fattori stessi del mondo politico; noi cittadini italiani abbiamo dimostrato di essere disposti a seguire decisioni dure se chi governa avrà migliorato se stessa e avrà nuove regole di ingaggio con un'opinione pubblica che è diventata più esigente, che vuole la verità ed è pronta anche al senso di sacrificio per far sì che il nostro Paese torni ad essere interessante per gli investimenti».

Quanto alle tendenze recessive per l'Italia esse vengono, secondo Monti, dal quadro internazionale e dal fatto che «per lungo tempo non sono stati aggrediti a sufficienza i problemi strutturali della nostra economia». Monti si dice "incoraggiato" dalle previsioni Ocse che ribadiscono la bontà delle riforme italiane e la necessità di approvare presto il ddl sul lavoro «che ci viene sollecitata all'estero». Previsioni che, secondo Monti non devono in alcun modo frenare le riforme o mettere in cantiere altre manovre. «Ci sono infatti margini - afferma Monti - per far sì che, se il quadro peggiorerà, non occorra fare un'altra manovra, perché quella sì aggraverebbe ulteriormente la recessione». Anche perché, aggiunge il premier, già nella manovra di dicembre erano stati introdotti «molti margini cautelativi: non erano stati conteggiati tutti gli effetti sul gettito alla lotta all'evasione fiscale e i calcoli erano stati fatti sulla base di tassi di interesse di novembre, ossia molto più alti. E tra qualche anno, per il premier, un aiuto potrà venire «dagli eurobond»: la loro istituzione consentirà ai paesi di Eurolandia di reperire fondi con uno strumento comune.

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