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Questo articolo è stato pubblicato il 06 aprile 2012 alle ore 08:10.
L'ultima modifica è del 03 aprile 2014 alle ore 22:32.
La regola aurea che il professor Mario Monti non può non conoscere è che un presidente del Consiglio in visita all'estero parla del suo Paese, vende il titolo Italia (lui lo sa fare benissimo, è giusto rendergliene merito), ma non si occupa delle vicende interne, non risponde alle polemiche domestiche, non scrive lettere ai giornali sui rapporti tra governo e partiti.
Purtroppo, tutto ciò che non doveva avvenire è successo con la missione in Asia guidata da Monti e ha trovato la sua logica conclusione in un vertice notturno, a Roma, con i segretari dei partiti che lo sostengono.
Il verbale «chiuso» sulla riforma del mercato del lavoro è stato riaperto: si sono inventate coperture rozze (che cosa c'entrano i rincari su casa, auto aziendali, biglietti aerei?), si è indebolita la flessibilità in uscita e sono rimasti intatti oneri contributivi e rigidità sui contratti in entrata in una dimensione tale da rischiare di ridurre le occasioni di occupazione per i giovani e i tanti (troppi) quarantenni e cinquantenni che si sono ritrovati dalla sera alla mattina senza un reddito.
Non ci resta che una speranza: si rifacciano di giorno i conti maldestramente impostati di notte. Si può essere d'accordo o meno con la concertazione, ma non si può mettere in dubbio l'utilità di concertare almeno sui conti che non tornano.
Questo governo ha ridato credibilità e dignità all'Italia, ha tracciato un itinerario di rinascita civile, prima ancora che economica. Ha fatto interventi importanti sulla previdenza e sulla concorrenza, ha scalfito - non abbattuto - il tabù dell'articolo 18 (anche se è bene sottolineare che nessuno prima ci aveva davvero provato). Tutto ciò, però, non può impedire di dire la verità: non abbiamo bisogno di pasticci che ipotecano il futuro e siamo ancora in tempo per correggerli. A imporlo sono le conclusioni di questo specialissimo viaggio di andata e ritorno.
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