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Questo articolo è stato pubblicato il 10 aprile 2012 alle ore 06:55.
L'ultima modifica è del 10 aprile 2012 alle ore 10:00.

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Nessuno ha rispettato le promesse. Equamente, dunque, liberi tutti in una campagna presidenziale che farà molte vittime e garantirà poca stabilità. Alla dodicesima ora, a commissione elettorale quasi chiusa, Omar Suleiman risorge dalle nebbie dell'ancien régime e dei suoi servizi segreti, e si candida al voto del 23 e 24 maggio.
Inaccettabile, reagiscono i Fratelli musulmani: è quasi come ricandidare Hosni Mubarak. Durante i moti di piazza Tahrir nel febbraio dell'anno scorso, Suleiman, generale, ministro della Sicurezza e vicepresidente, uomo di fiducia di americani, europei, israeliani e sauditi, si era accreditato come alternativa a metà fra vecchio e nuovo, nel tentativo di fermare o quanto meno incanalare la rivoluzione. Ma il suo esperimento era durato poco: i giovani di piazza Tahrir cercavano un cambiamento radicale, non un traghettatore. Recentemente, a chi gli aveva proposto di candidarsi alle presidenziali di fine maggio, come argine al crescente islamismo che sta marcando la Primavera egiziana, Suleiman aveva risposto di non essere interessato.

La fratellanza non ha molto da lamentarsi per questo voltafaccia. Anche il partito islamico aveva ripetutamente promesso di non candidare uno dei suoi alla presidenza, per il momento la carica politica più alta in un Egitto che ancora non ha fatto riforme costituzionali importanti. Poi c'è stato il grande successo alle prime consultazioni parlamentari di fine novembre; quindi la provocatoria candidatura presidenziale dell'estremista islamico Hasem Abu Ismail, vicino ai salafiti. Un po' per cogliere l'onda del successo, un po' per coprirsi "a sinistra" dalle ambizioni salafite, alla fine anche i Fratelli musulmani hanno presentato il loro candidato: Khairat al-Shater, uomo d'affari ricco d'idee imprenditoriali e di pietà islamica.

Allo scadere del tempo limite per la presentazione delle candidature, dunque, in molti correranno alla presidenza. Ci sarà l'ex capo della Lega Araba Amr Moussa, l'islamista moderato al-Futuh. Ma i veri candidati saranno due: Suleiman per i militari (il generale Tantawi, capo della giunta, era un suo uomo di fiducia); al-Shater per la fratellanza. Laici, democratici, liberali, socialisti e marxisti dovranno scegliere quello che riterranno il male minore tra una forma edulcorata di vecchio regime laico e una, ugualmente cauta, di Islam politico. Manca dalla contesa chi aveva iniziato la Primavera egiziana: i bloggers e i movimenti giovanili di piazza Tahrir, ormai ininfluenti riguardo al futuro immediato dell'Egitto. Dice ora Suleiman: «Piazza Tahrir ha creato una nuova realtà dalla quale non si può prescindere». Ma che si può influenzare, quando la domanda della gente «è l'uscita dal caos e il ritorno alla legge e all'ordine». Sempre parole di Omar Suleiman, l'ex capo dei servizi segreti di Mubarak, fattosi riformatore.

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