Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 11 aprile 2012 alle ore 08:22.
L'ultima modifica è del 11 aprile 2012 alle ore 08:22.

My24

A parole, gli economisti delle grandi banche d'affari e i giornalisti della grande stampa mondiale apprezzano gli sforzi del governo Monti e tendono a disgiungere lo stato dell'economia e le sorti della finanza pubblica italiana da quelle spagnole. A fatti, i grandi broker internazionali stanno vendendo le attività finanziarie italiane in maniera ben più pesante di quanto facciano con quelle iberiche. Nessuno dubita che la crisi sia riesplosa a causa degli affanni di Madrid: un'economia in caduta perché troppo dipendente dal mercato immobiliare, con il tasso di disoccupazione più alto d'Europa e con le banche che potrebbero essere travolte da nuove e pesanti perdite sui prestiti immobiliari. Ma sui mercati è l'Italia ad essere colpita, con i titoli bancari che perdono quasi tre volte più di quelli spagnoli, con i rendimenti dei Btp decennali che da due sedute aumentano più dei Bonos, con i titoli italiani a due, tre e 5 anni che rendono più di quelli spagnoli.

Per capire questa discrasia tra parole e azioni c'è una sola spiegazione: la speculazione internazionale che, cogliendo l'occasione dai problemi spagnoli, ha sferrato un nuovo attacco all'euro passando dalla porta principale, dal mercato italiano che è il più liquido tra quelli "periferici" e, data la rilevanza del Paese, anche quello che può davvero condizionare la sopravvivenza dell'Unione monetaria. Ed ecco che la riforma del mercato del lavoro proposta dal governo diventa meno di un palliativo nei commenti del Wall Street Journal e Mario Monti viene criticato per non essere una Thatcher: come se il paragone fosse un complimento.
L'attacco alle attività finanziarie italiane è maturato a fine marzo ed è diventato pesante ad aprile. Ieri s'è intensificato con crescenti volumi sul mercato dei credit default swap (una sorta di assicurazione sul debito di un Paese, ma di fatto una comoda via per andare al ribasso sui titoli di Stato), con scambi in crescita sul future FtMib (triplicati da metà marzo, mentre sono stazionari sui titoli a fisso) e in aumento del 30% circa sui titoli bancari.

Questi, in 7 sedute, hanno quasi annullato i cospicui guadagni accumulati dopo il 9 gennaio: ora il rialzo si misura in un modesto 11%, dopo aver toccato il 57% l'8 febbraio, con capitalizzazioni ridottesi a un terzo dei mezzi propri: quando quelle delle spagnole Caixa o Banco Popular valgono almeno la metà del patrimonio.
È difficile intravvedere una via d'uscita. Tra novembre e dicembre, nel pieno della crisi dei debiti sovrani, si diceva che i governi dovevano compiere i massimi sforzi per risanare le finanze pubbliche e che, nel contempo, la banca centrale doveva varare misure non convenzionali di politica monetaria. La prima cosa è stata fatta, specie in Italia, e anche la Bce ha inondato le banche di liquidità. La prima cosa sembra che non basti più, la seconda si sta rivelando inutile, visto che le banche non sanno cosa fare della liquidità che si trovano in pancia. Forse, potrebbero investirla in titoli a medio termine (i Btp a 2 anni rendono il 3,6%), anziché volerla restituire alla Bce, come ha dichiarato l'amministratore delegato di UniCredit due settimana fa.

Shopping24

Dai nostri archivi