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Questo articolo è stato pubblicato il 27 aprile 2012 alle ore 08:10.
L'ultima modifica è del 27 aprile 2012 alle ore 08:32.

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Anche se gli interessati lo definiscono «normale», l'articolato comunicato dell'Antitrust sull'avvio del- l'esame dell'operazione Unipol-Premafin ha ben poco di ordinario.
Se da un lato è infatti «normale» che una fusione sia subordinata al via libera delle authority competenti, dall'altro non è normale affatto proibire alle società coinvolte di esaminare e approvare gli atti prodromici alla fusione.

Solo gli atti non ripetibili possono infatti essere preclusi, non di certo quelli revocabili per sopraggiunto parere delle authority: proibire l'esame dei concambi o dell'aumento di capitale collegato - come sembra volere l'antitrust - appare quindi al mercato (nella migliore delle ipotesi) come una forzatura giuridica. Del resto, i casi di fusioni societarie abortite per il parere negativo delle authority sono decine e forse centinaia, ma in nessun caso - e qui parliamo a livello mondiale - è stato mai proibito alle società coinvolte di procedere negli atti in attesa delle decisioni antitrust.

Lo sa bene anche Mario Monti, che da commissario Ue antitrust fece saltare l'operazione Ge-Honeywell non solo dopo che i consigli delle due multinazionali avevano già completato tutti gli atti necessari, ma persino dopo che l'antitrust americano aveva dato il parere positivo alla stessa fusione. Se dunque l'antitrust ritiene ora che il dossier Unipol-Premafin vada trattato diversamente dal normale, dovrebbe anche spiegarne il motivo al mercato. Tra l'altro, e questo l'antitrust lo sa bene perchè è scritto chiaramente nel contratto, Unipol e Premafin hanno subordinato l'aumento di capitale e la fusione proprio al parere dell'authority.

Altra questione ben poco «normale» è quella che riguarda il perimetro dell'esame indicato dall'antitrust nel suo comunicato. Più che preoccuparsi degli effetti competitivi della fusione sul mercato assicurativo (e in particolare in quello della Rc Auto), l'authority dedica gran parte del suo comunicato alla denuncia degli intrecci azionari post-fusione. «Alla luce dei legami (finanziari, azionari e personali) - scrive l'authority - che si verranno a determinare tra Mediobanca ed il gruppo Ugf/Premafin, da un lato e, dall'altro, dei legami che Mediobanca ha con Generali... Mediobanca non potrà non tener conto di come la propria esposizione finanziaria e l'eventuale partecipazione azionaria rispetto alle parti e all'entità post merger potrebbero essere influenzati dal rapporto rispetto a Generali».

E come se se non bastasse, l'authority aggiunge che «i legami tra Mediobanca e Generali sono stati, in forza della loro rilevanza, oggetto di precedenti provvedimenti dell'autorità nei quali é stata accertata l'esistenza di un controllo di fatto di Mediobanca su Generali, controllo che, allo stato, non si dispone di elementi per sostenere sia venuto meno». Più che l'annuncio di un esame di una fusione, il comunicato sembra dunque una sentenza su una questione di ben più ampia portata: l'uscita di Mediobanca da Generali.

Questo giornale ha sempre sostenuto la necessità di eliminare i conflitti di interesse nella finanza italiana, e non solo in quella (basti pensare all'intreccio tra politica e consigli di amministrazione di entità semi-pubbliche) ma la questione in esame non è oggi questa: è la fusione tra Unipol e una società sull'orlo del fallimento che per sua stessa ammissione non è più in grado di rivolgersi al mercato finanziario. L'antitrust, insomma, pur ponendo questioni serie e condivisibili sui legami tra Mediobanca e Generali, sembra voler utilizzare il caso Unipol-Premafin per mandare un messaggio trasversale al mercato e alla finanza italiana. Ma è proprio questa l'occasione giusta?

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