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Questo articolo è stato pubblicato il 08 maggio 2012 alle ore 07:31.

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Samaras getta la spugna. Finisce prima di iniziare il tentativo del leader del partito conservatore Nea Dimokratia, Antonis Samaras, incaricato ieri dal presidente greco Karolos Papoulias di formare un nuovo Governo di coalizione.

Il leader della sinistra radicale di Syriza, Alexis Tsipras, vincitore morale della consultazione piazzatosi al secondo posto, ha «escluso la possibilità di entrare a far parte di un Governo di unità nazionale con i conservatori» e oggi prenderà, secondo quanto riferito dal portavoce del partito, l'iniziativa di formare un nuovo Esecutivo. Tsipras parlerà con tutti i partiti (esclusi i neo nazisti di Alba d'oro) ma punterà sui comunisti del Kke (26 seggi) che però hanno già detto no a un fronte unito e Sinistra democratica (19) ma ovviamente senza i voti del Pasok e dei Greci indipendenti non riuscirà a raggiungere la maggioranza minima di 151 seggi. Samaras resta dunque il king maker perché ha in mano l'asso del premio di maggioranza dei 50 seggi come primo partito.

Intanto però la crisi greca si avvita, la borsa di Atne sprofonda dell'8% e la maggior banca del Paese, la banca nazionale, lascia sul terreno il 20 per cento. Il giorno dopo il voto che ha punito i due partiti storici greci, Nea Dimokratia e il socialista Pasok che hanno dominato alternandosi la vita del Paese dal 1974, a festeggiare sono solo i partiti estremi, Syriza a sinistra e i neonazisti di Alba d'oro all'estrema destra. Le due formazioni pro Europa, Nea Dimokratia e Pasok, non raggiungono insieme nemmeno la maggioranza in Parlamento.

Samaras ha iniziato le consultazioni incontrando Tsipras, (che ha detto no) e poi Evangelos Venizelos del Pasok che gli ha aperto la porta. «La Grecia ha bisogno di una coalizione pro-Europa che mantenga il Paese nell'Eurozona, ma bisognerebbe rinegoziare i termini del piano di salvataggio per alleviare il peso sulla popolazione», ha affermato il leader dei socialisti che ha poi chiesto di evitare «nuovi tagli a stipendi e pensioni e di spostare di un anno, al 2015, la data del programma di aiuti».

Venizelos ha negoziato il piano e conosce qual è il punto chiave (il tempo di attuazione) per poter rendere meno pesante l'impatto sociale delle riforme volute dalla troika. «Tutte le forze politiche devono rispondere al bisogno del Paese di essere governato», ha affermato Venizelos al termine dell'incontro con Samaras.

Ma il leader conservatore ha rinunciato. La Costituzione è molto chiara sul percorso istituzionale: il leader del partito di maggioranza ha tre giorni per formare un Governo; se non ci riesce, il quarto giorno la palla passa al leader della seconda forza per voti (Tsipras di Syriza), e dopo altri tre giorni in assenza di soluzioni al partito terzo classificato (il Pasok di Venizelos).

Se non c'è nessun accordo dopo l'ultimo round, il presidente chiama tutti i leader di partito e chiede un Governo di unità nazionale. Se questo non arriva, si torna al voto, nel giro di un mese, con un Governo ad interim creato solo per gestire il nuovo voto. Ed è proprio questo incubo che Samaras voleva evitare perché sa che la corsa verso nuove elezioni avrebbe effetti disastrosi.

La corsa di Samaras è stata bloccata dal no dei due partiti anti-austerity: quello dei Greci indipendenti dell'economista di destra Kammenos (33 seggi) e quello della Sinistra democratica dell'avvocato Kouvelis che hanno bloccato ogni possibilità di uscire dall'impasse. Infine va segnalato che oltre a Nouriel Roubini, anche gli analisti del gigante bancario Citigroup indicano probabilità elevate, tra il 50 e il 75% di un'uscita della Grecia dall'euro entro la fine del 2013. Il motivo? «L'incertezza delle politiche monetarie dell'area euro in aumento». E Roubini incalza: qui non si tratta di vedere se i partiti dell'ex maggioranza riusciranno o no a trovare un nuovo alleato con cui tenere in piedi per pochi voti un nuovo esecutivo. «La Grecia non può essere governata quando i partito contrari all'austerità di bilancio e alle politiche necessarie per restare nell'euro sono al 66 per cento. Sono probabili - ha detto Roubini – nuove elezioni».

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