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Questo articolo è stato pubblicato il 08 maggio 2012 alle ore 12:05.

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Alexis Tsipras saluta il presidente greco Karolos Papoulias (Reuters)Alexis Tsipras saluta il presidente greco Karolos Papoulias (Reuters)

La Grecia oscilla pericolosamente tra rabbia e paura. La gente si chiede che cosa farà Alexis Tsipras, 37 anni, l'ingegnere leader di Syriza, la coalizione di sinistra radicale da domenica seconda forza politica in Grecia che tenta di formare un governo di coalizione. Tsipiras ha annunciato che rifiuterà tutte le misure di austerità "imposte" dalla Ue e dal Fondo Monetario Internazionale, nel caso dovesse riuscire a formare il nuovo governo.

«Il verdetto delle elezioni ha chiaramente annullato l'accordo sul prestito e sugli impegni con Ue e Fmi» ha detto Tsipiras in un messaggio televisivo. Tsipiras, 37 anni, ha ricevuto dal Presidente della repubblica ellenica, Carolos Papoulias, l'incarico di formare un nuovo governo dopo che ieri era fallito il tentativo del leader del centro-destra di mettere in piedi un esecutivo di unità nazionale. Tsipras, secondo quanto ha detto alla Tv privata Skai il parlamentare del partito, Giannis Dragasakis, incontrerà i leader di tutti i partiti - salvo Chrisi Avgì (Alba Dorata, filo-nazista) - compresi quelli dei partiti che non sono entrati in Parlamento e le forze sociali del Paese. Ad essi Tsipras presenterà un programma in tre punti: formazione di un governo delle forze di sinistra, rifiuto del Memorandum e un piano per la ricostruzione del Paese.

Tutto chiaro? Non proprio. In realtà «nessuno sa che cosa farà Tsipras realmente, ma una cosa è certa», spiega un analista politico greco di un quotidiano centrista: «La gente lo ha votato nella convinzione che Tsipras possa migliorare l'accordo esistente con la troika (Ue, Bce e Fmi), restando nell'euro ma denunciando il pagamento dei debiti e rinegoziando le misure di austerità». Populismo? «Forse - ribatte l'analista greco - ma ha funzionato su una popolazione stremata da cinque anni di recessione». I.K. Pretenderi, commentatore politico a Te Nea, maggior quotidiano di centro-sinistra ritiene che la gente abbia votato per «rabbia» (i partiti anti-austerity) o per «paura» (i neonazisti di Alba dorata), considerando i due partiti tradizionali (Pasok e Neo Dimokratia) delle formazioni che si sono trasformate negli ultimi 40 anni di potere in partiti clientelari giunti al capolinea della bancarotta.

Theodoro, che sta perdendo il lavoro nella clinica privata dove lavora perché lo stato non paga più i rimborsi dovuti, dice che ha votato Syriza perché lo considera come «un partito-kamikaze pronto a far esplodere la protesta sociale in Grecia contro Bruxelles se questa non rivedrà le sue pretese di austerity o se minaccerà di non versare le prossime tranche di prestiti per pagare stipendi e pensioni». L'immagine è terrificante, visto che la Grecia ha una lunga storia di terrorismo e rivolte sociali alle sue spalle dai tempi della fine della guerra civile. Lambros Panagiouy, dice invece di preferire «il fallimento del paese che continuare a fare sacrifici senza fine e che non bastano mai. Ogni volta che il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, parla, aumenta la mia rabbia. Hanno sabagliato i politici e ora noi dobbiamo pagare per loro?», conclude amaro.

Marina, che vende sementi, collane di zucchine e peperoncini piccanti essicati al vecchio mercato di Atene, dice «di aver votato sempre Neo Dimokratia, (il partito conservatore di Antonis Samaras, risultato primo al voto di domenica ,n.d.r) negli ultimi venti anni, ma questa volta ha votato i piccoli partiti anti-austerity». «Mai più i due partiti che ci hanno portato al disatro», spiega un po' preoccupata del caos in cui il paese è precipitato. Un consigliere politico molto vicino all'ex premier socialista del Pasok, George Papandereou, mi confida: «E' la rivincita di Papandreou che aveva proposto di fare un referendum pro o contro il pacchetto di austerità. Se si fosse tenuto un anno fa, ma l'ex presidente francese Nicolas Sarkozy si era impuntato al vertice di Cannes chiedendo di non farlo, oggi non saremmo a questo punto e il governo pro-Europa sarebbe ancora in carica».

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