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Questo articolo è stato pubblicato il 11 maggio 2012 alle ore 17:12.

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Nonostante in alcuni ambienti istituzionali italiani circolasse da giorni un cauto ottimismo circa la soluzione della vicenda di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, la giustizia indiana continua a riservare amarezze all'Italia e ai due fucilieri di Marina imprigionati nel Kerala. Il tribunale di Kollam ha respinto oggi la richiesta di concedere ai due militari gli arresti domiciliari in attesa dell'incriminazione (ancora non ufficializzata dalle autorità indiane) e dell'eventuale processo.

Il team legale dei due militari ha annunciato che la settimana prossima presenterà ricorso in appello mentre il magistrato indiano ha rinnovato il carcere preventivo per i due soldati del Reggimento San Marco fino al 25 maggio. Nei giorni scorsi la Corte suprema di Nuova Delhi aveva rinviato al 26 luglio, dopo le vacanze dei tribunali federali, l'esame del ricorso italiano che contesta la giurisdizione indiana sull'episodio del 15 febbraio nel quale, in acque internazionali, sarebbero morti due membri dell'equipaggio del peschereccio Saint Antony.

Il portavoce della Farnesina, Giuseppe Manzo, ha spiegato che la richiesta di ottenere gli arresti domiciliari era stata autorizzata dalla stessa Corte Suprema riconoscendo alla difesa dei due marò "la possibilità di richiedere il rilascio su cauzione, senza pregiudizio delle posizioni legali e giuridiche" circa la questione della giurisdizione.

Nei prossimi giorni i giudici del Kerala dovranno esprimersi anche sulla richiesta di trasferire Latorre e Girone dal carcere di Trivandrum in una sede diversa e più opportuna per il loro status di militari. Se in India non sembrano aprirsi spirargli per una soluzione rapida della vicenda, l'arrivo in Italia degli altri quattro fucilieri imbarcati sulla Enrica Lexie lascia irrisolti molti interrogativi e solleva qualche dubbio.

Appena atterrati a Ciampino i quattro sono stati ascoltati dai pubblici ministeri Francesco Scavo e Elisabetta Cenicola che sulla vicenda avevano aperto un fascicolo ipotizzando contro ignoti il reato di omicidio volontario. I fucilieri, Renato Voglino, Massimo Andronico, Antonio Fontana e Alessandro Conte hanno dichiarato ai magistrati, che hanno poi secretato il verbale di interrogatorio, di non essere stati testimoni diretti della sparatoria durante la quale morirono due pescatori indiani scambiati per pirati.

Da quanto si è appreso nel corso dell'interrogatorio diverse domande hanno riguardato il ritardo con il quale le nostre autorità furono informate di quanto accaduto. I magistrati intendono anche chiarire perché la nave sia entrata in acque indiane e ricostruire le procedure messe in atto dal momento in cui la petroliera ha risposto alle richieste delle autorità di Nuova Delhi. Elementi che potranno essere forniti dal comandante della petroliera non appena sarà rientrato in Italia. Ma come è possibile che i quattro militari non fossero presenti durante il supposto avvicinamento pericoloso di un'imbarcazione pirata alla petroliera?

Fonti ben informate sentite da Il Sole 24 Ore sostengono che i quattro fossero a riposarsi poiché in quel momento i turno di guardia era affidato a Latorre e Girone. Un'ipotesi che suscita perplessità poiché il rapporto sull'accaduto inviato dal capitano Umberto Vitelli, il comandante della Enrica Lexie, dice chiaramente che quando il peschereccio si era avvicinato a 100 metri dalla nave e il team di sicurezza aveva visto a bordo sei persone armate «il comandante suonò l'allarme e tutto l'equipaggio si ritirò nella cittadella», cioè l'area fortificata della nave che nel caso della Lexie è solo un'area nella quale è possibile rinchiudersi ma non comunicare con l'esterno.

Possibile che i quattro militari in turno di riposo non abbiano sentito l'allarme? O che, invece di raggiungere i due commilitoni che tenevano d'occhio il peschereccio sparando raffiche d'avvertimento in acqua, si siano rifugiati con l'equipaggio nella cittadella della nave? Ipotesi improbabile quest'ultima ma i dubbi restano. Anche perché se i quattro non hanno visto nulla e non sono in grado di fornire informazioni utili perché i magistrati hanno secretato le loro dichiarazioni? Perché il ministero della Difesa, che ha gestito mediaticamente il rimpatrio dei fucilieri, non ha tenuto una vera conferenza stampa aperta a tutti i media limitandosi invece a convocare solo televisioni e agenzie di stampa che non hanno nemmeno potuto fare domande?

Si è trattato più che altro di una breve apparizione davanti ai giornalisti nella quale il sergente Voglino ha parlato anche per gli altri tre limitandosi a ringraziare «tutti quanti, tutti gli italiani, il governo, tutti quelli che ci sono stati vicini. Ma ora scusateci - ha tagliato corto - vogliamo solo tornare a casa e riabbracciare i nostri cari. È stata dura'«. Persino il sito internet della Difesa ha liquidato in poche righe il ritorno dei quattro militari dopo 86 giorni di sosta forzata nel porto di Kochi. Non è la prima volta che la gestione mediatica di questo caso da parte di Difesa e Farnesina si rivela ambigua, improntata più a tacere i fatti che a chiarirli, sostanzialmente inutile se non controproducente perché contribuisce ad alimentare dubbi e sospetti.

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