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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2012 alle ore 14:11.
L'ultima modifica è del 13 maggio 2012 alle ore 14:30.

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Molto bastone e poca carota. Sul caso-Grecia, la Germania, non sorprendentemente, ha scelto la linea dura. Il messaggio di Berlino è molto semplice: Atene, qualunque sia la coalizione che esce da questo, o dal prossimo voto, deve rispettare gli impegni presi nel programma concordato con l'Europa e il Fondo monetario in cambio degli aiuti internazionali. Dall'austerità, insomma, non c'è via d'uscita. Pena la chiusura dei rubinetti dei finanziamenti, che porterebbe il Paese al collasso in tempi brevi. Un messaggio al quale si è accodato in questi giorni anche il membro tedesco del consiglio esecutivo della Banca centrale europea, Joerg Asmussen.
Insolitamente, quel poco di carota è venuto dal ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, abitualmente un fautore della linea più intransigente. Il quale, dopo avere per la prima volta ammesso nei giorni scorsi che anche i Paesi in surplus devono far qualcosa per ribilanciare gli squilibri in Europa (la Germania potrebbe accettare un'inflazione fino al 3%, ha detto, e aumenti salariali che favoriscano la crescita della domanda interna), ieri ha di nuovo sollecitato i greci al rispetto del programma, ma con un approccio un po' diverso: in cambio, ha affermato, potrebbero ottenere nuove misure per favorire la crescita. «Se i greci hanno un'idea di cosa potremmo fare per promuovere la crescita, possiamo parlarne», ha detto uno Schäuble apparentemente più conciliante.

Il ministro ha anche sostenuto che la Germania non vuole che la Grecia esca dall'euro, «questo è chiaro e inequivocabile». Veramente, da numerose dichiarazioni di esponenti di governo nei giorni scorsi, Schäuble compreso, era sembrato che il punto di vista di Berlino fosse ben diverso: che Atene ormai è persa e che si devono semplicemente limitare le conseguenze della sua uscita.
Negli ambienti politici ed economici tedeschi, la posizione prevalente sembra essere che si possa vivere tranquillamente con l'uscita della Grecia dall'euro e che le ripercussioni sarebbero relativamente modeste, soprattutto sulla Germania stessa, che sta comunque evitando la recessione, gode di flussi di capitale in entrata che rendono il credito facile e a buon mercato e ha parzialmente attenuato l'effetto-Grecia sulle sue banche. Visto da qui, il contagio greco non si sente e per ora scarso peso viene dato al fatto che, caduta la Grecia, potrebbe estendersi in un attimo al resto della periferia dell'Eurozona. A quel punto, però, è difficile pensare che la Germania ne sarebbe immune. Del resto, le stesse cifre sul commercio estero pubblicate questa settimana mostrano che la macchina da export tedesca continua a tirare, ma sente il freno della recessione nell'Eurozona.
Convinta, al di là della realtà dei fatti, di potersi isolare, Berlino ha tirato tanto la corda nelle sue esortazioni verso Atene da contribuire a esacerbare gli animi e a estremizzare il voto greco. Il rischio è che alla corda resti impiccata non solo la Grecia, ma anche il resto dell'Eurozona.

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