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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2012 alle ore 14:15.
L'ultima modifica è del 13 maggio 2012 alle ore 14:34.

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Sono sempre stato e continuo ad essere un convinto europeista, ma proprio per questo vedo il processo politico europeo a serio rischio.
L'Europa affronta un problema semplice e nello stesso tempo inestricabile.
O aumentano i prezzi in Germania o i prezzi sono destinati a scendere nel resto d'Europa e specialmente in Spagna, Italia, Portogallo e nella Grecia senza speranze.
Al di là di ogni analisi più sofisticata, la questione dell'euro è tutta qui.
E la determinazione con cui la Germania sembra voler ancora imporre le sue politiche per l'austerità, che comportano spinte deflazioniste, non induce alcun ottimismo sulle sorti della moneta unica, e in prospettiva anche sull'unità dell'Europa.
Abbiamo tutti visto come il rigore tedesco abbia determinato nelle recenti elezioni un risentimento popolare anti-austerità. Anche la Francia si mostra vieppiù riluttante ad adottare "austerità" (nome in codice per indicare politiche deflazioniste) in cambio di bassi tassi d'interesse. Perfino l'Olanda, uno dei Paesi europei fiscalmente più conservativo, è stato incapace di adottare una legge per implementare misure di austerità atte a salvare l'Euro. Il Governo olandese è letteralmente collassato dopo che nelle riunioni primaverili del l'Imf e della Banca mondiale altri 430 miliardi di dollari sono stati aggiunti al fondo salva-stati.

Il paradosso, per chi ha vissuto nel mondo del centralismo europeo ed atlantico, è che in questo caso l'Europa ha subito le spinte per l'austerità, non solo dalla Germania, ma anche da paesi fino a qualche decennio fa economicamente marginali. Dei 430 miliardi del Fondo, infatti, 230 arrivano da realtà come Cina e Brasile, che però hanno condizionato il loro supporto a comportamenti di ulteriore austerità da parte del ricevente. La più grande parte di Europa, sulla base della promessa di prestiti destinati in qualche modo a salvare l'Euro, si è vista così costretta ad applicare politiche restrittive. Il risultato è stato una recessione, assolutamente prevedibile, con caduta dell'occupazione, dei redditi e dei prezzi.
Una spirale recessiva che si autorafforza attraverso la riduzione dei redditi e delle entrate fiscali. Un circolo vizioso che ha trasformato un problema economico in un problema politico, che mette molti governi europei in una situazione insostenibile: dalla Francia alla Grecia, all'Olanda, all'Italia dove il governo Monti è ora sotto la pressione dei partiti della grande coalizione, e perfino in Germania dove l'alleanza che sostiene la Merkel ha perso nell'ultima elezione regionale. Gli sforzi per preservare l'Euro come simbolo di unità europea incominciano così a minacciare l'unità dell'Europa. Con la Grecia, paese culla della nostra civiltà, umiliata fino al punto da veder prevalere nelle elezioni le forze antieuropee. Con la Francia stessa, che vede crescere il partito anti Europa al suo interno, ed è pronta ad archiviare l'asse con la Germania. E soprattutto con il caso spagnolo, che si sta preparando ad esplodere con il suo 50% di giovani disoccupati e suoi irraggiungibili obiettivi di bilancio (il tasso di disoccupazione complessivo è al 25%, due punti più che in Grecia). Il desiderio di una più stretta unione politica tra gli Stati europei per salvare l'Euro viene così messo in discussione. La moneta unica era stata concepita dalle élite europee come una delle condizioni per un'Europa più prospera e armoniosa si sta trasformando nell'esatto contrario.

La Germania ha già fatto sapere che l'Eurozona può sopravvivere all'uscita della Grecia, ma in realtà questo è un altro passo verso la disunità dell'Europa. Anche perché dopo la Grecia potrebbe toccare alla Spagna. È lì che oggi si devono concentrare gli sguardi di chi ha a cuore le sorti dell'Europa.
La probabile uscita della Grecia aumenterà la pressione sul Governo spagnolo per mitigare la politica di austerità, riducendo la probabilità che la Germania sia pronta a fornire alla Spagna un accordo di salvataggio simile a quello concesso in marzo ad Atene.
Questo significherebbe accelerare il processo di dissoluzione dell'euro e del l'Europa. Sino adesso quasi tutti gli economisti e anche i Governi europei hanno sostenuto che il costo di uscire dall'Euro era talmente alto che nessun paese se lo potesse permettere. Gli scoppi di tensione sociale e il virtuale collasso economico della Grecia stanno modificando queste convinzioni. In effetti, al punto in cui è, la Grecia ha poco da perdere ad uscire dall'Euro. E presto lo stesso potrebbe avvenire in Spagna, e poi chissà dove...
Rieccoci allora al punto da cui eravamo partiti. La semplice equazione che ha davanti l'Europa. La Germania a questo punto deve scegliere. Se non accetterà gli eurobond e un più alto tasso di inflazione assisteremo al break-up dell'Eurozona, al collasso di gran parte del sistema finanziario europeo. La Germania però a quel punto sperimenterà un formidabile shock deflazionista. Mi pare, anche per i tedeschi, un gioco a somma negativa. Speriamo che prevalga la responsabilità verso l'Europa e che ciò non avvenga.

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