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Questo articolo è stato pubblicato il 16 maggio 2012 alle ore 07:08.
ATENE - La campagna elettorale è già iniziata sotto il Partenone. Fallite le trattative per formare un Governo, la Grecia torna alle urne: tre mandati esplorativi non sono bastati per trovare una nuova maggioranza e sarà dunque il voto, forse il 17 giugno, a cercare di trovare una via di uscita al dedalo dove si è infilato il Paese nella speranza che il nuovo Parlamento sia meno frammentato di quello uscito lo scorso 6 maggio. Un voto che si trasforma, nella sostanza, in un referendum sulla permanenza o meno del Paese nell'Eurozona.
Bruxelles spera che vincano i partiti tradizionali favorevoli al piano di austerità negoziato con i creditori internazionali ed eviti quegli scenari apocalittici, evocati da molti commentatori, che sembrerebbero confermare come un'uscita di Atene dall'Eurozona non sia più un tabù. La Ue spera in una ripresa della presa elettorale dei conservatori di Nd e dei socialisti del Pasok che - unito al premio di maggioranza di 50 seggi - dia la possibilità di varare un esecutivo di unità, obiettivo mancato per soli due seggi a quota 149 su 300 nella scorsa tornata elettorale: nelle parole del leader socialista Evangelos Venizelos, occorre «un voto più responsabile».
Ma gli ultimi sondaggi dipingono un Paese diverso, arrabbiato e disorientato: il primo partito sarebbe ora la sinistra radicale di Syriza, (data a 120 seggi) e neanche un recupero dei due partiti storici potrebbe colmare le distanze; allora sarebbe la volta di una difficile maggioranza alternativa formata da partiti come Sinistra Democratica di Fotis Kouvelis e i comunisti del Kke, entrambi contrari al piano Ue. Insomma un impasse, un muro contro muro.
Che farebbe l'Europa di fronte a un esecutivo di tal fatta che consideri disdetto l'impegno ad applicare il piano di austerità, almeno non senza una sostanziosa rinegoziazione forse cercando la sponda del presidente François Hollande all'Eliseo che potrebbe aumentare i margini di manovra di Atene? Bloccherebbe i finanziamenti del piano da 130 miliardi o si siederebbe al tavolo dell'ennesimo Consiglio europeo sulla Grecia per dilazionare tempi e ridurre gli interessi sui debiti come avvenuto in passato con il precedente piano?
Bruxelles spera che dopo la rabbia e la paura arrivi il tempo della ragione e della ponderazione nell'urna greca. I conservatori e socialisti cercheranno di accreditarsi come le forze europee e addittare «l'estremismo» di Alex Tsipras, 37 anni leader di Syriza, come la causa della crisi politica. Syriza, la cui partecipazione al Governo di unità era stata la condizione necessaria posta anche dalla Sinistra Democratica, si è ben guardata dall'accettare, visto la fine che ha fatto il Laos, finito fuori dal Parlamento per aver accettato di appoggiare il precedente Governo di coalizione tecnico, e forte dei sondaggi che la sospingono, come primo partito, al 25 per cento. A quel punto ha puntato a nuove elezioni, mentre la Sinistra Democratica e i Greci Indipendenti di Kammenos hanno preferito star fuori dal Governo per evitare la rabbia delle urne. Insomma i tatticismi di partito hanno prevalso sull'interesse del Paese riducendo la partita politica allo scontro tra pro e contro il memorandum.
Una decisione estrema che non ha però modificato la rigidità della posizione tedesca. L'annuncio di nuove elezioni in Grecia «non cambia la situazione», ha affermato il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, l'ideologo dell'austerity, mentre lasciava la sede del Consiglio europeo, nel corso dell'Ecofin. «La Grecia - ha sottolineato - deve attuare il suo programma per rimanere nell'Eurozona», si tratta di «un programma concordato», che per essere realizzato ha bisogno di «un Governo che sia in grado di prendere decisioni». Per Schäuble «se la Grecia, e questa è la volontà della grande maggioranza dei cittadini, vuole rimanere nell'euro, allora deve accettare le condizioni» altrimenti questo non sarà «possibile e nessun candidato responsabile può nascondere ciò all'elettorato».
Un'«uscita ordinata» della Grecia dall'euro «sarebbe straordinariamente costosa e presenterebbe grandi rischi, ma fa parte delle opzioni che siamo obbligati a considerare tecnicamente», gli ha fatto eco il direttore generale del Fmi, la francese Christine Lagarde, ricompattando l'asse franco-tedesco. «È possibile - ha aggiunto - un'uscita ordinata dall'euro». Un'eventualità che però spaventa i greci: solo ieri, ha detto il presidente Papoulias, i correntisti hanno ritirato dalle banche depositi per 700 milioni di euro.
L'economia, intanto, si è ridotta del 6,2% anno su un anno nel primo trimestre del 2012. La Ue ha previsto che il Pil greco si contrarrà del 4,7% nel 2012, quinto anno di recessione e di debito al 167% del Pil.
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