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Questo articolo è stato pubblicato il 28 maggio 2012 alle ore 15:55.

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(Reuters)(Reuters)

Una strage efferata, 108 morti per metà bambini, già di fatto attribuita dai media internazionali (per prima al-Jazeera) e dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu alle forze governative siriane. Tutto è possibile in una guerra civile sempre più cruenta nella quale le nefandezze vengono compiute su entrambi i lati della barricata ma Bashar Assad dovrebbe essere impazzito per ordinare massacro di innocenti a due passi dagli osservatori dell'Onu e sotto i riflettori dei media internazionali. I rapporti riferiscono di persone colpite dalle schegge di granata, altre uccise con colpi a bruciapelo o a coltellate mentre Damasco nega ogni responsabilità per una strage compiuta in una zona abitata da sunniti ma circondata da villaggi alauiti che sostengono il governo.

Ce n'è abbastanza per sospettare della strage, se non l'esercito, le milizie filo-Assad ma anche le molte anime della rivolta e i combattenti di al-Qaeda sempre più presenti e attivi in Siria provenienti dal vicino Iraq e che hanno già compiuto attentati e massacri. La dinamica della strage di Houla ricorda in effetti quella di alcune "spedizioni punitive" compiute dalle milizie di "al-Qaeda in Mesopotamia" contro villaggi e tribù sunnite irachene che sostenevano il governo di Baghdad e collaboravano con le truppe statunitensi. Blitz caratterizzati da attacchi agli edifici compiuti con lanciarazzi Rpg seguiti da esecuzioni sommarie con sgozzamenti e colpi alla testa di intere famiglie con l'obiettivo non solo di punire i "colpevoli" ma anche di scoraggiare altri a seguirne l'esempio.

Quando al-Qaeda effettuò i primi attentati in Siria contro sedi dei servizi segreti ad Aleppo e Damasco, i ribelli ne attribuirono la responsabilità al regime di Assad, versione che ebbe ampia eco sui media (al-Jazeera in testa, ancora una volta) finché lo stesso Dipartimento di Stato di Washington dovette riconoscere che i terroristi di al-Qaeda erano entrati in forze in Siria per combattere il regime divenendo di fatto "alleati" ingombranti e imbarazzanti non solo dei ribelli ma anche dell'Occidente.

Al di là delle responsabilità oggettive, tutte da chiarire, la strage di Houla rischia di diventare il "casus belli" per l'intervento militare internazionale da tempo chiesto da Turchia, Lega araba e soprattutto da Qatar e sauditi, sostenuti dagli anglo-americani e dai francesi. Anche se la Nato ha finora negato i preparativi di azioni belliche contro Damasco negli ultimi mesi sono emerse molte indiscrezioni che indicano il contrario incluse voci di pre-allerta di alcuni reparti alleati pronti a venire rischierati in Giordania, Libano o nelle basi britanniche a Cipro. Allo stesso modo negli ambienti diplomatici da tempo si sussurra che il piano Annan è destinato a non riuscire a risolvere la crisi siriana ma può creare il contesto per un'azione internazionale che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu sembra pronto a varare.

Indiscrezioni che trovano conferme anche nelle rivelazioni del Washington Post, che cita fonti degli attivisti e di funzionari statunitensi, secondo le quali nelle ultime settimane ai ribelli siriani sono arrivate molte armi moderne e potenti fornite da Qatar ed Arabia Saudita nell'ambito di un piano coordinato dagli Stati Uniti. Traffici gestiti da alcune basi alla frontiera con la Turchia (Idlib) e col Libano (Zabadani). Anche i Fratelli Musulmani siriani, come ha confermato il membro del comitato esecutivo della Fratellanza Mulham al-Drobi, si riforniscono di armi grazie ai fondi messi a disposizione da ricchi siriani o dai Paesi del Golfo. Sul regime di Assad sembrano sempre meno disposti a investire anche gli "sponsor" russi e cinesi se è vero, come racconta Haaretz, che le forniture di armi e munizioni (anche nordcoreane) che arrivano via mare a Tartus e Latakia non godono più dei crediti agevolati ventennali di un tempo ma vengono pagate in anticipo da un fondo costituito dai petrodollari di Teheran, ormai unico vero alleato di Damasco.

Barack Obama dichiara di puntare a una "soluzione yemenita" con l'esilio di Assad e l'avvio di una transizione politica ma nei fatti sembra puntare più a una "soluzione libica" e la strage di Houla potrebbe creare il contesto mediatico e sociale favorevole ad approvare un intervento bellico internazionale. Non sarebbe la prima volta che eccidi e massacri, veri o "costruiti" ad arte, aprono la strada all'internazionalizzazione di un conflitto interno. Nel 1995 alla strage di Srebrenica seguì l'intervento dell'Alleanza Atlantica in Bosnia, nel 1999 le fosse comuni di Racak diedero il via all'intervento della Nato in Kosovo nonostante un team medico bielorusso avesse accertato che si trattava di cadaveri raccolti da più parti ai quali era stato sparato alla nuca post mortem. L'anno scorso l'intervento alleato in Libia è stato favorito dalle notizie, rivelatesi poi infonmdatee, di fosse comuni, massacri di bambini e stupri di massa compiuti dai soldati di Gheddafi.

Il parallelo con la Libia non è azzardato non solo considerando la mole di disinformazione diffusa mediaticamente in questi mesi dai ribelli siriani ma anche analizzando le ultime dichiarazioni politiche. Il leader dei liberaldemocratici europei ed ex premier belga, Guy Verhofstadt, ha definito i massacri di civili a Homs, Hama e Houla le "Srebrenica siriane" e ha chiesto "l'intervento internazionale" mentre il Ministro degli esteri italiano, Giulio Terzi, in un'intervista alla Stampa non esclude nessuna opzione e sottolinea la necessità di proteggere i civili. La stessa motivazione che animò l'intervento della Nato in Libia non a caso battezzato Operazione "Unified Protector".

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