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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2012 alle ore 09:20.
L'ultima modifica è del 02 giugno 2012 alle ore 11:25.

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Per far irritare i tedeschi, basta accusarli di speculare sulla crisi dei Paesi periferici dell'euro: dalla cancelliera Angela Merkel ai vertici della Bundesbank, reazioni sdegnate e gesti di rabbia sono la risposta immediata a chi fa loro notare che più la crisi si trascina più i tassi tedeschi scendono, con enormi risparmi sul costo della raccolta e sul servizio del debito.
Certo, attribuire alla Germania un destabilizzante disegno occulto per guadagnare alle spalle dei «deboli» è forse eccessivo, ma sta di fatto che più peggiorano le condizioni di credito di Italia e Spagna più migliorano quelle della Bundesrepublik, i cui tassi di interesse sui Bund sono ormai prossimi allo zero.
Di questa situazione, ovviamente, beneficiano soprattutto le aziende e le banche tedesche, cha al contrario dei concorrenti italiani e spagnoli hanno la possibilità di rivolgersi al mercato dei capitali con un costo della raccolta davvero irrisorio: i bond corporate tedeschi pagano tassi di pochi punti percentuali. Senza contare che gli stessi istituti tedeschi hanno potuto attingere a piene mani anche dall'assegnazione illimitata di fondi della Bce all'1%: finanziamenti quasi-gratis che erano stati concepiti per aiutare le banche europee più in difficolta, insomma, sono finiti anche nelle casse di chi non ne aveva certamente bisogno. E proprio qui viene il problema.

Ieri abbiamo infatti appreso che la Bafin, la Consob tedesca, ha tentato di impedire a UniCredit di prendere in prestito miliardi di euro di liquidità dalla sua controllata in Germania. Nessuna legge impediva o impedisce a UniCredit una simile procedura - la banca italiana opera in Germania attraverso la rete di Hvb, che è a tutti gli effetti una banca tedesca - eppure la Bafin si è messa di traverso: raccogliendo denaro in Germania e poi trasferendolo in Italia, era la tesi dell'Authority, UniCredit metteva a repentaglio la sicurezza del risparmio tedesco. Il blitz della Bafin, fortunatamente, è stato bloccato dalla Banca d'Italia. Ma ciò che rende il fatto più paradossale e forse grottesco è che mentre l'authority tedesca dava lezioni agli italiani, proprio la più grande banca tedesca, Deutsche Bank, utilizzava le sue filiali italiane e spagnole per farsi prestare di nascosto soldi a tasso super-agevolato dalla Bce per poi trasferirli chissà dove. Un bel giochetto davvero, questo, della cui esistenza si è appreso soltanto grazie ai bilanci depositati dalle due «filiali disagiate», che nel complesso si sono fatte prestare dalla Bce circa 9 miliardi di euro rimborsabili in tre anni con tasso 1%. In particolare, Deutsche Bank Italia ha preso in prestito 3,5 miliardi di euro, mentre Deutsche Espanola ha messo in cassa 5,5 miliardi di euro. Dove sono finiti questi soldi? Sono rimasti in Italia e Spagna a beneficio dei clienti e delle imprese o sono tornati in Germania? Ovviamente, non lo sapremo mai: interpellata da Bloomberg in Germania, la Deutsche Bank si è rifiutata di fornire spiegazioni e commenti. Ma a rendere ancora più sgradevole la posizione tedesca non è l'arroganza, ma soprattutto la menzogna, la mistificazione dei fatti. In un incontro con gli analisti in 2 febbraio scorso, infatti, fu lo stesso amministratore delegato Joseph Ackermann ad affermare che la banca non avrebbe probabilmente fatto ricorso ai prestiti straordinari della Bce per evitare il rischio di «danni reputazionali», una tesi poi sostanzialmente ribadita il 26 aprile scorso dal direttore finanziario del gruppo bancario tedesco Stefan Krause: «Abbiamo preso una cifra piccola, davvero irrisoria - disse Krause agli analisti - per esigenze di cassa in Europa continentale». I casi sono due: o Spagna e Italia si sono spostate verso nord sulla cartina geografica, o i soldi presi in prestito nei due Paesi dell'Europa meridionale sono finiti altrove. Auf Wiedersehen Europa...

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