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Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2012 alle ore 07:25.
L'ultima modifica è del 14 giugno 2012 alle ore 07:27.

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Un uomo solo è al comando, il suo nome è Mario Monti. C'è da augurarsi che il premier italiano finisca il suo giro con la vittoria finale, come accadde per il leggendario Fausto Coppi nel 1949. Impresa tutt'altro che facile, in una corsa a tappe decisiva, tra cui quella fondamentale del prossimo Consiglio europeo del 28 giugno.

Monti deve scalare la montagna dello spread. Convincere la Germania di Angela Merkel a guardare senza pregiudizi oltre il muro del rigorismo di bilancio. Riuscire a tenere unita la sua "strana" maggioranza politica. Evitare i passi falsi del Governo (è il caso della vicenda esodati). Ristabilire per l'Italia un clima di fiducia sui mercati. Ritrovare il consenso della stampa americana e inglese che su quei mercati si specchia e che negli ultimi giorni ("L'Italia è moribonda" "Mamma mia, ci risiamo”) è passata sul Governo italiano come carta abrasiva. Ieri il premier ha incassato alla Camera dalla sua maggioranza un "vai avanti" significativo dopo che egli stesso, la sera precedente, aveva convocato un vertice d'urgenza a Palazzo Chigi con Alfano, Bersani e Casini per sollecitare, in tandem col presidente della Repubblica Napolitano, una prova di coesione politica in un momento drammatico per l'Italia e l'Europa. E sempre ieri, a Berlino, Monti ha registrato il sostegno politico del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble.

Di nuovo, il paradosso italiano dello spread ha funzionato. Tanto più questo si alza, tanto più si rafforza la coesione politica dei tre partiti che sostengono in Parlamento il Governo (mentre a spread calante rifioriscono le tensioni e gli sgambetti da campagna elettorale permanente). È andata così anche questa volta, ma con un'avvertenza e alcuni dati di fatto (i BoT a un anno hanno sfiorato il rendimento del 4%, il presidente della Cassa depositi e prestiti Franco Bassanini ha detto che la Banca europea degli investimenti sta iniziando a frenare in Italia) che non si possono sottovalutare. A fronte di un sostegno politico pieno della maggioranza corrisponde infatti un mandato tecnico, nei contenuti, preciso, che in gran parte già coincide con le posizioni del presidente del Consiglio e che, nel resto, ne vincola le scelte. Nel caso della missione in Europa alla ricerca di un nuovo punto di equilibrio tra rigore di bilancio e spinta alla crescita, è inutile negarlo, dobbiamo aspettarci non una passeggiata ma un negoziato duro.

In particolare con la Germania, che ieri ha continuato a ribadire il suo "no" sugli eurobond e che, proprio attraverso il ministro Schäuble, ha bocciato l'idea cara (da anni) a Monti di scorporare gli investimenti pubblici dal calcolo del deficit. Contrarietà tedesche – salvo possibili modifiche costituzionali - anche sulla creazione di un debito pubblico europeo dal quale andrebbe scorporata – mettendola a carico dei singoli Stati - la spesa per interessi. A Monti, la sua maggioranza politica ha suggerito di percorrere ogni strada utile per ritrovare una strada credibile di sviluppo. E il premier su questo non aveva e non ha dubbi. In cantiere ci sono proposte condivise che il Sole 24 Ore ha rilanciato, a partire dalla garanzia europea per i depositi bancari e dall'accesso diretto delle banche al fondo salva-stati. Se non è percorribile la strada di un diverso impegno della Bce, se gli eurobond restano un sogno e se davvero si vuole salvare l'euro occorre battere questi sentieri. Subito, per spezzare la catena che lega le difficoltà delle banche alla crisi dei debiti sovrani e viceversa.

I margini di manovra sono strettissimi, in Europa e in Italia. Monti (che ha rifiutato la sola ipotesi di una richiesta di aiuto esterno e ha ricordato i punti di forza del nostro Paese, a partire da un basso debito del settore privato) lo sa bene. Ma con vari accenti e tonalità la sua "strana" maggioranza gli ha voluto ricordare che un'ulteriore dose di rigorismo fiscale, lo ha spiegato Pierferdinando Casini, «ci ucciderebbe». Come dire: stop alla sola idea di una nuova manovra correttiva, manovra del resto nuovamente smentita ieri dal premier.

Il problema, per l'uomo solo al comando, è ora come far quadrare i conti della sua sfida. Coniugare cioè il pareggio di bilancio con la crescita (senza la quale, hanno ragione i report delle grandi banche internazionali, non è sostenibile a questi livelli di tassi il debito pubblico), riempiendo i buchi delle nuove emergenze (il terremoto, il costo in prospettiva per gli esodati) ed evitando il previsto aumento dell'Iva. L'equazione è complessa. Sul piano tecnico e insieme politico. Monti ha fatto riferimento alle dismissioni di beni di proprietà dello Stato, un'arma per abbattere il debito rimasta fin qui nei cassetti. Ma servono, e subito, risorse finanziarie sia per l'"operazione crescita" (domani è previsto il varo del decreto sviluppo e infrastrutture) sia per far fronte alle nuove emergenze. Nel caso e nell'altro, a meno che non siano programmi di facciata, si tratta di molti miliardi. Arriveranno dalla ormai mitica spending review della spesa pubblica, opportunamente rinforzata? Le cifre si rincorrono, ma il momento della verità è arrivato.

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