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Questo articolo è stato pubblicato il 20 giugno 2012 alle ore 07:00.
L'ultima modifica è del 20 giugno 2012 alle ore 09:40.

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Un faraone può anche avere un piccolo funerale: senza dignitari né popolo, dimenticato da chi un tempo lo amava, e da chi ne elemosinava le grazie.
Può finire in galera ed essere processato, ritenendo di essere vittima dello stesso popolo che affermava di aver servito. Ma non poteva essere condannato e rinchiuso in una cella a marcire come un fellah, un contadino del Nilo. Per un faraone, meglio la morte.
Solo quella, improvvisa e forse sperata da molti come via dignitosa di uscita, ha salvato Hosni Mubarak dall'infamia del peccato da scontare e dal giudizio del popolo. Il giudizio della Storia mediorientale è meno negativo ma resta estremamente controverso. Fino a ieri, il giorno della sua morte, l'ex presidente egiziano era l'uomo più detestato della regione dopo Gheddafi e il siriano Assad. Ma se avesse lasciato il potere 15 anni fa, dopo avere avviato le riforme economiche, oggi gli egiziani lo porrebbero secondo solo a Gamal Nasser nel pantheon dei faraoni contemporanei.

Giovane pilota di Spitfires e poi di Ilyushin-28, secondo le alleanze egiziane dell'epoca: prima con gli inglesi poi con i sovietici. Combattente dei cieli nel disastro della guerra con Israele del 1967. Bello come un Luciano Serra Pilota ma molto più ambizioso; sposato con Suzanne, una bellissima ragazza di buona famiglia, ora inquisita per aver distratto i fondi della nuova Biblioteca di Alessandria; padre di Alaa e Gamal, due maschi, la più grande fortuna per una famiglia araba. Sul loro capo ha pesato la più lunga lista di reati penali e amministrativi dell'ancièn regime, che nessuna assoluzione giudiziaria cancellerà: almeno per il popolo. Anche i nostalgici ora li considerano responsabili delle sfortune paterne: la benedizione che si trasforma in maledizione.
Ma la carriera di Mubarak non poteva essere definita dalle mura domestiche né dai limiti ristretti, per quanto eroici, dei campi di battaglia. Capo dell'Aeronautica, dunque, poi ministro, vice presidente e delfino di Anwar Sadat nel 1975 e infine suo successore dall'ottobre 1981 fino agli eventi di piazza Tahrir. Una figlia di Sadat ha accusato Mubarak di aver tramato e guidato la mano degli assassini islamici di suo padre. Ma è ingiusto. Mubarak fu un fedele e oscuro vice e da presidente continuò la politica filo-occidentale di Sadat.

I 30 anni di potere da rais sono piuttosto anonimi per essere quelli di un faraone. Nessuna guerra combattuta, nessuna pace firmata. Sadat fece entrambe le cose: coraggiosamente la prima per raggiungere la seconda. Mubarak ha riformato il mercato: l'Egitto è diventato più moderno con pochi privilegiati, milioni di poveri e una corruzione diffusa. Col socialismo, Nasser aveva cambiato molto di più l'Egitto.
Il Paese di Mubarak ha avuto una grande stabilità interna ed è stato un punto di equilibrio nel caos politico e militare arabo. Ma è stata un'epoca di stagnazione nella quale l'Egitto ha perso il suo ruolo tradizionale di guida del mondo arabo. Nel dirimere le faide regionali il piccolo Qatar con le sue idee e i suoi soldi, è stato capace di avere una forza di mediazione più grande. Un faraone governava l'Egitto ma l'Egitto non era più il Paese dei faraoni.

Forse è banale usare la definizione di faraone per i leaders egiziani del XXI secolo. Ma come un faraone, Mubarak aveva preteso d'imporre il figlio prediletto Gamal alla successione. Nella percezione collettiva, il popolo, il Paese e i suoi leaders hanno sempre sentito di essere effettivamente la continuità moderna della grandezza dell'Egitto antico. Come i cinesi di oggi che si credono i figli diretti dell'Impero di Mezzo. Per questo è stata una feroce umiliazione, per Hosni Mubarak, diventare il primo leader arabo cacciato dal suo stesso popolo. Non da un golpe militare, non da un regicidio o da una guerra perduta ma da un moto popolare, spontaneo e democratico. Un mese prima era successo a Ben Ali ma la Tunisia non è l'Egitto. Probabilmente anche Mubarak ha distratto a suo beneficio fondi dello Stato ma diversamente dal collega tunisino aveva la gravitas del faraone. Come Cleopatra con l'aspide, con la debolezza di un cuore creduto impavido, Hosni Mubarak si è tolto di mezzo prima che buttassero la chiave della sua prigione.
Il problema di oggi non è tuttavia se, come e quanto il vecchio Faraone verrà ricordato ma che d'ora in poi il Paese sia governato da uomini normali. Che in sostanza l'Egitto si liberi per sempre dalla tentazione del faraone.

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