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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2012 alle ore 14:42.

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Il 24 giugno di un anno fa il Comune di Parma fu sconvolto dall'arresto di 11 persone (tra cui il capo di gabinetto del sindaco, il dirigente dell'area ambiente e mobilità, il comandante dei vigili) per tangenti legati ad appalti nel verde pubblico e non solo. Quegli arresti segnarono la fine politica del civismo di centro destra e, in specifico, dell'Amministrazione guidata da Pietro Vignali che capitolò definitivamente a fine settembre con l'arresto dell'assessore Bernini.

Vignali cosa fa oggi, a un anno di distanza?
«Il commercialista, lavoro a Bologna e torno a Parma solo nei fine settimana».

Si interessa ancora di politica?
«Sì, ho fatto solo quello per tredici anni e non ci si stacca facilmente».

A Parma sembra cambiato tutto.
«Se leggo il programma dei grillini noto che per larga parte propongono cose che noi avevamo già realizzato. Le faccio qualche esempio: bilancio partecipativo, punti wi-fi, cablatura delle scuole, mobility manager, car sharing, bike sharing, trasporto a chiamata. Tutte cose che abbiamo fatto. Così come gli investimenti per gli asili nido, il Festival Verdi aperto, perfino l'impegno dei carabinieri in congedo che per noi erano diventati i volontari nei parchi».

Sì, ma hanno anche altri punti qualificanti, come la chiusura dell'inceneritore e zero consumo di suolo.
«Su quest'ultimo punto dico che non l'ho consumato io il suolo, ma i Prg precedenti perché io di piani non ne ho fatti».

Però del Psc di Ubaldi c'erano tante aree che sono state messe a Poc, cioè attuabili, che potevano essere preservate.
«Probabilmente sì. Però col Psc nuovo, predisposto dall'architetto Burdett con l'assessore Manfredi, c'eravamo posti l'obiettivo dell'impatto zero, cioè non andare a occupare nuovo suolo. Sarebbe da riprendere perché è pronto, fatto da un grande architetto e che aveva come obiettivo principale di riqualificare l'esistente. Un'altra cosa che loro si possono trovare nel cassetto».

Ha lasciato anche dei debiti, e non pochi. Il commissario nella sua relazione finale scrive 846 milioni.
«La questione dei debiti è un falso problema, nel senso che bisogna distinguere il debito del Comune da quello delle partecipate. Il debito del Comune è di circa 170 milioni di euro ed è assolutamente sostenibile. Siamo nella media dei comuni italiani, siamo 56esimi, siamo con un debito pro-capite di circa 800 euro quando il debito procapite del Comune di Torino è di 3.000 euro».

Però la contestazione di tanti, dal Pd al 5 Stelle, è che alla fine i debiti si sommano e non si possono distinguere.
«E invece, ribadisco, vanno distinti. Perché il debito del Comune è un debito vero, che va restituito negli anni alla Cassa Depositi e Prestiti, ed ha rate di circa 15 milioni l'anno. Poi c'è il debito delle partecipate, che esiste non lo nego e che riguarda, sostanzialmente, tre società: Spip, Stu Stazione e Stu Pasubio. Tutte e tre operazioni fatte prima che diventassi sindaco io. Dicevo che bisogna distinguere perché quel debito lì esiste a fronte di un patrimonio. E' come una famiglia che compra una casa, fa un mutuo e quindi ha un debito ma dall'altra parte ha un patrimonio che è la casa. Il vero problema è che quei debiti sono stati fatti con piani industriali elaborati nel 2004-5, in espansione economica, che prevedevano che l'indebitamento si azzerasse alla fine dell'intervento. Con la crisi economica il valore patrimoniale che avevano è sparito del 70-80%. E queste società sono andate in ginocchio, come avvenuto in tutto il mondo».

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