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Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2012 alle ore 17:45.
L'ultima modifica è del 24 luglio 2012 alle ore 15:50.

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Il P.M. Antonino Ingroia (ANSA)Il P.M. Antonino Ingroia (ANSA)

I pm di Palermo hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio dei 12 indagati per la trattativa Stato-mafia tra i quali l'ex presidente del Senato Nicola Mancino, l'ex ministro democristiano Calogero Mannino, il senatore del Pdl, Marcello Dell'Utri, i capimafia corleonesi Totò Riina e Bernardo Provenzano, i generali dei carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni. Il documento é stato firmato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dai sostituti Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Lia Sava. La richiesta, che è stata vistata dal procuratore capo Francesco Messineo, sarà trasmessa nelle prossime ore al Gip.

Mancino: dimostrerò la mia estraneità ai fatti
Nicola Mancino commenta con asprezza la notizia della richiesta di rinvio a giudizio avanzata nei suoi confronti dai pm di Palermo che indagano sulla trattativa Stato-mafia. "A questo punto - aggiunge - ho rinunciato al proposito di farmi di nuovo interrogare e di esibire documenti. Preferisco farmi giudicare da un giudice terzo. Dimostrerò la mia estraneità ai fatti addebitatimi ritenuti falsa testimonianza, e la mia fedeltà allo Stato». Protesta anche Calogero Mannino: «Questa richiesta di rinvio a giudizio é un capriccio di Ingroia. Capovolge la mia posizione: da minacciato prolungatamente dall'incombenza di un'attentato mafioso, ad accusato. Insomma, da vittima vengo trasformato da Ingroia in ben altro».

Csm si spacca sul collocamento fuori ruolo di Ingroia
La Terza Commissione del Csm si è spaccata sul collocamento fuori ruolo del procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, per consentirgli di ricoprire un incarico dell'Onu in Guatemala: tre i voti a favore, uno contrario e due astenuti. La decisione finale sarà presa giovedì prossimo dal plenum.

Marina Berlusconi sentita a Palermo
Intanto la figlia di Silvio Berlusconi, Marina, è stata sentita a Palermo dai pm che indagano il senatore Marcello Dell'Utri per estorsione ai danni dell'ex premier. Marina Berlusconi è cointestataria col padre del conto dal quale sarebbero partiti due prestiti in favore del parlamentare. La figlia dell'ex premier è stata ascoltata come persona informata sui fatti. «La signora Marina Berlusconi, nella sua veste di persona offesa e di persona informata sui fatti, pur contestando, su mia indicazione - si legge in una nota dell'avvocato Niccolò Ghedini - la possibilità di essere assunta come testimone, e per la posizione del presidente Berlusconi nelle pregresse indagini proprio della Procura di Palermo, e per la palese incompetenza territoriale di tale Autorità Giudiziaria, nonché per l'inopportunità di taluni pm che più volte avevano esternato giudizi, anche al di fuori delle funzioni giudiziarie, nei confronti della Fininvest e dell'on. Silvio Berlusconi, ha esaurientemente risposto a tutte le domande che le sono state poste. Ovviamente vigendo il segreto di indagine - conclude Ghedini nella nota - nessun altro commento può essere prospettato».

Nel mirino dei magistrati alcuni conti milanesi e fiorentini
Secondo gli accertamenti fatti dai magistrati che indagano sulla P3, ora finiti nel fascicolo palermitano, in conti aperti in banche milanesi e fiorentine sarebbe stata versata una parte dei soldi - circa 40 milioni - che Berlusconi in dieci anni avrebbe dato a Dell'Utri. I pm palermitani sospettano che si tratti di soldi dati in cambio di una protezione di Cosa Nostra. Fondamentale, quindi, capire che fine abbia fatto il denaro ricevuto dal senatore. Che è fermo nel replicare: «li ho spesi». I legali di Dell'Utri hanno depositato ieri un'istanza in cui si chiede al capo dei pm, Francesco Messineo, di dichiararsi incompetente e inviare gli atti dell'inchiesta a Milano o Firenze. Messineo ora ha, da ieri, dieci giorni per «rispondere» ai legali dell'ex manager di Publitalia. Decorso il termine senza che il capo dei pm si sia pronunciato o in caso di rigetto della questione, gli avvocati possono ricorrere al procuratore generale presso la corte di Cassazione.

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