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Questo articolo è stato pubblicato il 10 agosto 2012 alle ore 06:58.
L'ultima modifica è del 10 agosto 2012 alle ore 09:25.

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«Il livello del debito delle imprese si è mantenuto stabile, attestandosi sotto l'80% del Pil, un valore inferiore di oltre 20 punti alla media dell'area dell'euro. Il leverage, pari al rapporto tra i debiti finanziari e la somma degli stessi con il patrimonio ai valori di mercato, è sceso lievemente, poco sotto il 48%, un livello superiore di circa 4 punti a quello medio dell'euroarea».
L'analisi in questione è della Banca d'Italia e risale al 17 luglio scorso, data di pubblicazione dell'ultimo bollettino economico di via Nazionale. In esso si si descrive un contesto nel quale certamente i recenti sviluppi macroeconomici, globali, europei e italiani hanno provocato un aumento del numero di fallimenti e un peggioramento della qualità del credito.
Ma Banca d'Italia, che oltre agli esperti del servizio studi dispone anche degli strumenti di precisione operativa della Vigilanza, non manca di sottolineare che la salute finanziaria delle imprese italiane è sostanzialmente buona e che il loro leverage, nonostante la recessione, è perfino leggermente migliorato.

L'articolo pubblicato ieri nel bollettino della Bce, con informazioni che risalgono allo scorso mese di maggio, sembra apparentemente adottare tutt'altra prosa, soprattutto nella traduzione italiana rilanciata dalle agenzie. Che dice infatti il testo licenziato a Francoforte? «Al complessivo aumento dell'incertezza ha fatto riscontro un netto deterioramento della valutazione del rischio di credito delle imprese da parte degli operatori, misurato ad esempio dai tassi attesi d'insolvenza». Ovvero dalla Expected default frequency , un indicatore statistico messo a punto da Moody's Kmw utilizzando un modello del premio Nobel Robert Merton che si basa prevalentemente sulle quotazioni di borsa (dunque fotografa solo le aziende quotate) e che registra un incremento particolarmente pronunciato per le imprese italiane e piuttosto moderato per quelle olandesi e tedesche. Del resto, con i chiari di luna che si sono visti a piazza Affari in questo primo scorcio dell'anno, è abbastanza intuibile quale sia la causa principale dell'impennata di questo indicatore nel nostro paese: la caduta delle quotazioni e l'aumento della volatilità della borsa italiana.

In buona sostanza, il grafico pubblicato nel bollettino Bce descrive solo in un altro modo quel che è già noto. Ovvero che c'è una forte recessione in corso e che il nodo del credito alle imprese è particolarmente delicato nel nostro paese, che di credito vive, anche perchè il suo mercato dei capitali è piuttosto piccolo.
In ogni caso, dal mondo delle banche è venuta ieri una rassicurazione: gli effetti della recessione sul sistema delle imprese italiane e sulla loro capacità di far fronte alle obbligazioni contratte nei confronti delle banche sono evidenti ma non devono «portare ad esprimere giudizi affrettati circa la condizione strutturale della qualità del credito delle banche italiane».
In una nota l'Abi sottolinea la solidità degli istituti italiani «pur in un contesto di deterioramento della qualità del credito. «Il tasso di decadimento - spiegano da Palazzo Altieri - cioé il numero dei nuovi prestiti che entrano in sofferenza rispetto allo stock di prestiti esistente ad inizio periodo, é passato dall'1,6% all'inizio del 2008 al 2,7% nel primo trimestre del 2012».

Quindi, «se si confrontano gli andamenti delle sofferenze appena descritti con quelli dell'ultima recessione prima della Grande crisi, cioè quella del 1992-93, ci si rende conto che il sistema produttivo italiano manifesta una buona solidità relativa, commisurata cioè alla violenza dello shock macroeconomico: allora, nella fase più acuta della crisi, il tasso di decadimento era arrivato al 3,8%, oggi siamo di oltre 1 punto percentuale sotto quel valore pur a fronte di una perdita di Pil di quattro volte maggiore rispetto a quella di allora».
L'Abi sottolinea poi come secondo le sue ultime previsioni, «perfino in uno scenario macroeconomico particolarmente avverso, nel 2013 il tasso di decadimento non dovrebbe aumentare sostanzialmente rispetto al dato del 2011. A fronte di tale contesto, le banche italiane hanno operato con la dovuta prudenza mantenendo intatta la loro solidità. L'associazione delle aziende di credito ricorda infine che «dall'inizio della crisi le banche italiane hanno compiuto importanti progressi nel rafforzamento patrimoniale con un "core tier 1" che oggi si colloca intorno al 10%, in linea con la media europea e adeguato a coprire il tipo di rischi assunti. Pur, in un quadro in cui la qualità del credito è peggiorata, la minore rischiosità sistemica delle banche italiane deriva anche dal loro modello commerciale».

LA PAROLA CHIAVE

Insolvenza
La giurisprudenza più recente definisce insolvenza l'impotenza strutturale a soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, soprattutto i debiti, a causa del venir meno della liquidità e del credito necessario per far fronte alle attività.Nel diritto fallimentare è dunque la situazione in cui un soggetto economico, solitamente un imprenditore, non è in grado di far fronte ai pagamenti.

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