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Questo articolo è stato pubblicato il 13 agosto 2012 alle ore 16:35.

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Paolo Gabriele con Papa Benedetto XVI (Ansa)Paolo Gabriele con Papa Benedetto XVI (Ansa)

È uno spaccato drammatico quello che emerge dalle 35 pagine della sentenza della giustizia vaticana che rinvia a giudizio Paolo Gabriele per furto aggravato e il nuovo nome comparso all'ultimo, quello dell'informatico della segreteria di Stato accusato di favoreggiamento, che tuttavia non viene identificato come complice dell'ex maggiordomo.

No a un complotto a più ampio raggio, diversi elementi inquietanti
Dopo un'inchiesta avviata alla fine di maggio e che ha visto l'impegno dei vari gradi della giustizia inquirente vaticana oltre che delle forze dell'ordine interne alle mura leonine – la Gendarmeria, che ha compiti di controspionaggio – si esclude ancora una volta che vi sia stato un complotto a più ampio raggio – nonostante siano diversi gli omissis sui nomi – ma di elementi inquietanti ne vengono fuori diversi. A partire dall'assegno di 100mila euro intestato al Papa e rinvenuto nell'appartamento di Gabriele, il cui incasso sarebbe stato quantomeno difficile. Poi il fatto che il padre spirituale dell'ex aiutante di camera abbia bruciato i documenti riservati che gli erano stati consegnati dopo che erano stati sottratti al Pontefice. Cui si aggiunge la ricostruzione della drammatica riunione del 21 maggio nell'appartamento papale (all'indomani della pubblicazione del libro best seller di Gianluigi Nuzzi "Sua Santità", giornalista incontrato da Gabriele) dove il segretario personale di benedetto XVI, mons. Gaenswein mosse delle accuse (fondate) a Gabriele, in merito a documenti trafugati. Il tutto condito da da perizie psichiatriche e perquisizioni.

«L'ho fatto per far sapere al Papa ciò che accade intorno al lui»
Insomma, un quadro a tinte fosche che per settimane è stato perlopiù negato ma che adesso viene allo scoperto con tutto il suo carico simbolico. Gabriele assicura che non ha fatto mai nulla per denaro (e questo è riscontrato) ma solo per poter far conoscere al Papa tutto quello che accadeva attorno a lui, facendo copie di documenti: «mi sentivo un infiltrato dello Spirito Santo nella Chiesa» avrebbe affermato in uno degli interrogatori. Della vicenda si tornerà a parlare a lungo, anche perché sugli altri possibili capi di imputazione (come per esempio il tradimento) si continua a indagare, così come sullo stesso reato per cui è stato deciso il rinvio a giudizio.

L'ipotesi di un perdono del Papa
Non se ne parlerà prima del 20 settembre, data di riavvio dell'attività del Tribunale: prima di allora potrebbero arrivare anche delle sorprese, come il perdono del Papa. Già perché un processo comporta comunque un pubblico dibattimento, che in molti Oltretevere reputano rischioso e quindi improbabile. In ogni caso – come ha detto il portavoce padre Lombardi – da parte di Ratzinger c'è volontà di trasparenza, e i documenti resi noti dal Vaticano oggi rappresentano comunque un salto di qualità non da poco.

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