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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2012 alle ore 16:01.

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Il debito pubblico, in questo momento storico, coinvolge in tutti i Paesi occidentali il problema della “democrazia”. Ai cittadini sconcertati e impauriti dalle continue e contraddittorie dichiarazioni e decisioni sul debito pubblico, sull'influenza che quello degli altri Paesi può avere sul nostro, sui comportamenti altalenanti dei mercati, si pone drammaticamente ora un problema ancor più grave e finora sottovalutato.

Ovvero se debbano essere ridiscussi completamente la democrazia come sistema e i diritti dei cittadini, le loro disuguaglianze, le caratteristiche della società in cui sono destinati a vivere. Il debito pubblico è invece un problema che riguarda soprattutto i suoi creditori, i cui interessi molto spesso, e in questo frangente quasi mai, non coincidono con quelli dei cittadini. L'equilibrio tra debito e democrazia è peraltro assai difficilmente raggiungibile. Ed è per questa ragione che quando il mercato del debito diventa despota quell'equilibrio viene infranto, a tutto danno della stragrande maggioranza dei cittadini, ed a vantaggio di quell'uno o poco più per cento che “si mangia” quasi tutta la ricchezza nazionale.

Il sistema democratico non è quasi mai riuscito a imporsi poiché si è sempre scontrato con l'ostacolo del potere economico, potere che anche nell'antica Roma, maestra del diritto, era quello smisurato di un'aristocrazia latifondista, la quale vedeva nella democrazia un nemico frontale. Il mercato oggi più che mai condiziona i governi ed è lo strumento dell'unico vero potere, che fa sì che il sistema democratico assomigli sempre più ad un governo dei ricchi.
Tutto questo spiega non solo la corruzione delle élite, ma le angosce e le inquietudini del resto dei cittadini, storditi da dichiarazioni sempre più contraddittorie che riguardano la crisi, la quasi fine della crisi stessa, ma un futuro sempre più incerto dove dominano ricette di crescita arbitrarie e che paiono a legittimazione di coloro che detengono il potere, più che vere soluzioni.

Mentre i cittadini in un frastornante processo kafkiano si sentono colpevoli, non è chiaro di quale misfatto e restano in ansia, in attesa di un verdetto, senza conoscere né le regole né i giudici che pronunceranno la sentenza.
Mi bastan tre esempi. Il primo concerne l'andamento altalenante dello spread e delle borse, condizionato dalle valutazioni delle non meglio qualificate opache agenzie di rating, tra cui Moody's che nel giro di poco tempo è passata dal declassare l'Italia all'esaltarne il Governo, anche se in quei pochi giorni nulla era cambiato.
Il secondo ha come oggetto il governatore della Bce nei suoi tentativi di arginare la speculazione, che non pare peraltro la priorità di nessun governo europeo. Mario Draghi è stato accusato brutalmente dall'autorevole economista tedesco Manfred Neumann di perseguire un'arrogante politica che mette in pericolo l'esplosione di un'inflazione, pari a quella di cui soffrì la Repubblica di Weimar e di confondere quindi la politica con l'esclusiva funzione monetaria della Bce.

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