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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2012 alle ore 07:53.
L'ultima modifica è del 28 agosto 2012 alle ore 08:18.

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L'attuale fase del dibattito di politica economica è contraddistinta dalla prevalenza di chi ritiene che la situazione evolva positivamente e chi, in minoranza, insiste sulla pericolosità del fare poco, illudendo che basti insistere sulla strada intrapresa sia all'interno che a livello europeo per uscire dalla crisi. La persistenza dello spread tra BTp e Bund indica che il mercato ritiene che le cose non siano sostanzialmente cambiate. Purtroppo il mercato non ha una voce che spieghi la sua valutazione sul presente e le sue intenzioni sul futuro; perciò prevale il giudizio che di esso danno il Governo e gli analisti, compresa la grande stampa.

L'interpretazione prevalente è che il mercato stenti a capire il buono che si sta facendo, quello stesso mercato che avrebbe suggerito la sospensione parziale dei meccanismi democratici e i provvedimenti che di volta in volta vengono presi.
Noi riteniamo che ciò che si sta facendo all'interno e in Europa - vuoi per l'inadeguatezza della portata delle decisioni, vuoi per le esitazioni che l'accompagnano - non sia sufficiente a portarci fuori dalla crisi.

Finché prevale uno spread delle dimensioni attuali in Italia e altrove, il mercato agisce come se si fosse già rotta l'unità dell'eurosistema. La Bce può impedire il tracollo attivando gli strumenti tradizionali di una banca centrale (come va facendo la Fed): inondare di liquidità l'economia agendo da prestatore di ultima istanza nei confronti degli Stati in difficoltà. Pur tra tanti divieti nazionali e incertezze, la Bce può sempre farlo ed è forse questo il motivo per cui il mercato esita a dare un colpo di grazia all'eurosistema.

Tuttavia non cambia giudizio sui singoli Paesi e sul sistema stesso mantenendo elevati gli spread, ratificati dalle società di rating che assegnano ai paesi sotto attacco un giudizio ai limiti del default.
Poiché il costo del nostro debito sovrano, che si riflette su quello del credito all'economia, costa circa tre volte in più di quello praticato in Germania, il nostro sviluppo non potrà registrare inversioni e la disoccupazione aumenterà. I programmi di crescita del Governo e dei Partiti che si accingono alla campagna elettorale, lunga o breve che sia, si scontrano con questa realtà. Per mantenere il pareggio di bilancio pubblico la pressione fiscale deve mantenersi alta e probabilmente salirà, dato che pende sulle nostre teste l'aumento dell'Iva che il Ministro dell'economia non esclude, ma «spera di evitare». Si ritiene infatti che il rapporto debito pubblico/Pil possa essere ridotto solo con una politica di "avanzi primari" di bilancio, perché le altre soluzioni sono considerate impraticabili sul piano politico, anche se su quello tecnico se ne contano ben sette.

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