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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2012 alle ore 08:04.
L'ultima modifica è del 28 agosto 2012 alle ore 08:05.

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«Ich will Europa», voglio l'Europa. A Berlino impazzano le baruffe inter-tedesche sul futuro della moneta unica e della Ue, sull'espulsione della Grecia dal club, sulla presunta eccessiva disinvoltura della Bce di Mario Draghi nella gestione delle crisi. Ma questa volta Angela Merkel non tentenna, invita tutti alla cautela nell'uso delle parole e tira dritto. Ha ormai maturato la sua scelta di campo, il cancelliere, tanto da far circolare un video per spiegare la «sua Europa», le ragioni di una politica che vorrebbe veder realizzata a tamburo battente. Magari con l'avvio già in dicembre dei lavori di una nuova Convenzione per un'altra riforma dei Trattati europei. Nonostante i pesanti incerti dell'avventura.

Niente voli pindarici né afflati idealistici. Sono due le molle molto concrete che la spingono ad agire e presto. Primo, la convinzione che sarà più facile vincere le elezioni nel settembre 2013 con in tasca un euro in fase di graduale risanamento piuttosto che senza.

E questo semplicemente perché la prima opzione costa meno della seconda.
Secondo, la constatazione che la crescita tedesca non brilla affatto e le previsioni per l'export si annunciano negative: se il mercato europeo sfiora la catalessi, Cina, Asia e paesi emergenti oggi promettono più aggiustamenti interni che le enormi opportunità di qualche tempo fa. Meglio dunque non snobbare troppo la vecchia Europa ma provare a rivitalizzarla, anche salvandone la moneta unica per poter esistere domani da veri protagonisti sulla scena globale.

Per questo l'euro va mantenuto nella sua integrità e la Bce di Draghi va appoggiata nella sua opera di supporto anche quando, creando scandalo alla Bundesbank, si prepara a calmierare gli spread tornando ad acquistare titoli sovrani però al suono di severe condizioni per chi ne faccia richiesta. Per questo va anche assolutamente recuperato l'asse franco-tedesco nonostante da anni sia strapazzato da una crisi endemica, probabilmente senza ritorno.

Persa la duttile spalla di Nicolas Sarkozy, disposto a tutto pur di tenere in vita la finzione della parità di potenza con Berlino, ora la Merkel, che l'aveva apertamente osteggiata, è costretta a provare ad intendersi con la Francia socialista di François Hollande per realizzare la sua Europa. Cioè con un paese “sovranista” e anti-federalista da sempre, con un Governo che tra le sue file conta consumati anti-europeisti come il ministro degli Esteri Laurent Fabius. Con un'opinione pubblica che a schiacciante maggioranza (72%), se richiamata a una consultazione popolare, respingerebbe la regola del pareggio di bilancio decretata dal Fiscal Compact. Figurarsi come i francesi potranno reagire all'Unione fiscale propugnata dalla Germania: cessione della sovranità nazionale sulle leve della spesa pubblica in cambio di una futura mutualizzazione dell'euro-debito.

Merkel conosce benissimo le resistenze dei suoi interlocutori a Parigi ma sa anche che, senza una loro mediazione in un'Europa diventata sempre più ostile in questo triennio di crisi, il suo progetto sarebbe irrealizzabile. Anche se è ineludibile per la sopravvivenza all'euro.

L'unione fiscale alla tedesca non passa soltanto per il controllo delle altrui politiche di bilancio con diritto di intrusione sulle decisioni parlamentari e non. Passa anche per commissariamenti e sanzioni automatiche per chi non rispetti le regole, per l'armonizzazione delle tasse, delle politiche sociali e del lavoro, del welfare e delle pensioni. E infine per l'Unione politica, cioè per un'architettura istituzionale aggiornata, più efficiente e democratica.

Per cercare quei minimi comuni denominatori che oggi non ci sono, Francia e Germania ieri si sono accordate per creare un gruppo di lavoro congiunto che dovrebbe presentare proposte comuni in vista del vertice Ue di metà ottobre, per dare il via, due mesi dopo, ai negoziati per la riforma dei Trattati Ue. Berlino stringe i tempi, Parigi sta al gioco perché l'euro è troppo importante per tutti per lasciarlo affondare.

Ma le incognite che pesano sul teorema della nuova Europa tedesca sono infinite. Alcune: come ricucire il divorzio di interessi Nord-Sud esploso con la crisi? Come superare il clima europeo di sfiducia e diffidenze diffuse? Come conciliare in democrazia un'Unione vera con l'avversione crescente dei cittadini all'Europa e a tutto quello che rappresenta? Con questi chiari di luna, quanto è ancora accettabile la resurrezione del direttorio franco-tedesco?

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