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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2012 alle ore 07:55.

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Con il coordinamento del segretario di Stato tedesco Thomas Steffen e del direttore del Tesoro francese Ramon Fernandez, la Germania e la Francia hanno creato un gruppo di lavoro per definire una posizione comune sul progetto di unione bancaria e di bilancio (a Trattati invariati) e sul progetto di unione politica (che richiederà una modifica dei Trattati se non un nuovo Trattato) riconoscendo nei fatti che le due riforme non possono che procedere insieme (come ha d'altronde argomentato Giuliano Amato su questo giornale).

Tuttavia, la decisione tedesco-francese solleva problemi di non poco conto. Intanto perché c'è già un gruppo di lavoro, formalizzato da una decisione comunitaria, costituito dai quattro presidenti della Ue (Van Rompuy, Barroso, Juncker e Draghi).
Il suo compito è di sottoporre un'agenda delle riforme ai capi di Stato e di governo già nel Consiglio europeo di ottobre e quindi una vera e propria road map per realizzarle in quello del prossimo dicembre. E poi perché la leadership tedesco-francese, e l'approccio intergovernativo da essa incarnato, ha prodotto finora esiti preoccupanti. Il suo predominio nella gestione della crisi dell'euro negli ultimi tre anni, infatti, ha portato a un vero e proprio avvitamento della Uem su se stessa. Per volere tenere la decisione sulle politiche fiscali e di bilancio nelle mani dei capi di governo, l'Unione sta diventando un mostro istituzionale. Poiché non ci si fida reciprocamente, si accentuano sempre di più i meccanismi di vigilanza centralizzata e di controllo preventivo, al punto di configurare un'Unione con caratteristiche di stato prefettizio e non di sistema multi-livello. Tale processo di verticalizzazione non solo non può funzionare, ma è anche privo della basilare legittimazione democratica. Non possono essere i leader eletti in alcuni Stati membri a prendere decisioni che avranno un impatto sulla vita dei cittadini di tutti gli altri Stati.

Prima che sia troppo tardi, l'Italia ha l'interesse a ostacolare l'hubris intergovernativa. Primo: deve dire con chiarezza che la base di discussione nei prossimi Consigli europei sarà esclusivamente il documento elaborato dai presidenti comunitari. Nel frattempo, sarebbe opportuno promuovere una larga coalizione ufficiosa di Stati membri capace di ridimensionare la pressione tedesco-francese. Secondo: deve dire con chiarezza che la centralizzazione intergovernativa costituisce la negazione del progetto di integrazione. Essa è destinata a generare relazioni neo-coloniali all'interno dell'Unione, relazioni che non hanno alcuna giustificazione, né economica né culturale. Terzo: deve dire con chiarezza che l'idea di un'Unione di governi nazionali è inconciliabile con l'esigenza di un'Unione composita in grado di armonizzare le esigenze di Stati asimmetrici e di cittadini con storie diverse. L'Unione non può divenire la Francia in grande, né può assomigliare alla federazione di Bismarck in cui uno Stato (la Prussia) dominava tutti gli altri.
Per svolgere la sua azione con efficacia, però, l'Italia deve dotarsi di una strategia innovativa. Ai sostenitori di un'Unione esclusivamente basata sui governi nazionali non si può opporre un'Unione esclusivamente basata sui cittadini. Se per i primi contano solamente i governi dentro il Consiglio europeo, non si può pensare di creare un'Unione in cui conta principalmente il Parlamento europeo. L'Italia deve proporre lo sviluppo di un'Unione di Stati e cittadini, strutturata sulla separazione dei poteri, in cui (in particolare) un indipendente Consiglio europeo (a sua volta democratizzato nell'elezione del suo presidente) venga bilanciato da un forte e indipendente Parlamento europeo. L'Italia deve fare ciò perché è suo interesse nazionale ostacolare l'Unione intergovernativa e far avanzare (con possibilità di successo) quella sovranazionale.

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