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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2012 alle ore 08:20.

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Contrapporre rigore a crescita è un errore che sta perdendo forza demagogica. Senza il rigore si rischia di continuare nelle abitudini che ci hanno condotto alla minor crescita in Europa, nonostante il dilagare del debito. Ma il solo risanamento finanziario non risolve i problemi economici e sociali del Paese e, anzi, senza crescita non è neppure perseguibile, per drastico che sia il rigore. Nonostante la disciplina che ci siamo dati, il debito pubblico continua a espandersi.

Il che dimostra, tra l'altro, che non possiamo fare a meno di risorse esterne, almeno nella forma del mantenimento, e dell'espansione, del credito da parte del mercato finanziario; e riporta alla necessità di mostrare insieme rigore e determinazione a riavviare la crescita.
Sul rigore l'Italia ha fatto molto e i riconoscimenti internazionali non mancano. Se la fiducia dei mercati non torna (non è una fiducia completa quella che lima gli spread quando si allude alla possibilità di interventi di salvataggio) è perché sul fronte della crescita non si sono visti risultati altrettanto incisivi.
E la ragione è semplice. Sul rigore il governo decide e, in larga parte, attua. Sulla crescita il governo può solo proporre. Ma è tempo di superare il tentativo di avanzare su una gamba sola.

Il confronto fra governo e parti sociali sarà decisivo per far ripartire la crescita. Ma potrà avere successo solo se si abbandonerà sin dall'inizio il vizio che per anni ha reso inutile se non dannoso questo tipo di confronti: l'idea che il governo vi si debba presentare con una borsa da aprire in modo più o meno generoso, accontentando un po' tutti i partecipanti. Un'idea sostenibile solo fino a che i mercati finanziari hanno creduto, a torto o a ragione, che ci fosse ancora spazio per scaricare sulle generazioni future le inadempienze presenti. E praticabile solo in presenza di governi elettoralmente ricattabili.
Le due condizioni oggi non esistono. I mercati non sono disposti a finanziare ulteriori rinvii al futuro dei costi presenti, senza chiari passi verso il ritorno alla crescita. E il governo in carica è il risultato di un atto di responsabilità parlamentare, che ha voluto sottrarre l'emergenza economica al ricatto elettorale. Quindi non ci sono borse da aprire: bisogna discutere di come usare le risorse che si producono, ed eventualmente il credito aggiuntivo che un'azione decisa può attirare.

Da qui la priorità assoluta: aumentare il prodotto, ossia le ore lavorate. Le risorse vanno date a chi produce, con particolare attenzione al mondo dei giovani, il più penalizzato oggi e il più gravato prospetticamente dal cumulo di debito che è destinato a sopportare. Sappiamo tutti che per lavorare di più occorre che il mercato compri di più, ma non servirebbe finanziare a debito beni e servizi importati: per cui è essenziale che la gestione dei flussi tolga oneri a chi produce in Italia e aumenti disponibilità a chi quella produzione effettua. Così la crescita si sorreggerà sia sui consumi interni che sulle esportazioni. L'esiguità delle risorse invita a non deflettere dal principio di lasciare il più possibile del prodotto a chi lavora, detassando di preferenza chi esporta e chi accresce la produttività. Nondimeno serve un occhio attento al futuro e alla competizione fra territori: premiare l'innovazione genera ritorni anche in pochi anni e sarebbe un peccato veder emigrare aziende innovative solo perché altri Paesi le premiano più efficacemente.

Servono atti concreti, vanno attivati strumenti realmente esecutivi. L'autunno si presenta durissimo, non potrà essere attenuato da formulazioni legislative complesse che richiedano mesi per vedere comparire decreti attuativi in grado di collegarle alle norme esistenti, e che potrebbero impantanarsi per sempre nella palude burocratica. Attenzione quindi alla scelta degli strumenti, oltre che dei principi. E impulso alle iniziative in cui la mano pubblica può attivare risorse di mercato, come nel campo delle infrastrutture e dei nuovi strumenti finanziari per le imprese non grandi.

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