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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2012 alle ore 14:28.

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Di questi tempi fare il banchiere centrale è difficile. Passata è l'epoca in cui il governatore della Federal Reserve Bank Alan Greenspan era venerato da tutti come il "Maestro". Oggi il suo successore Ben Bernanke è costantemente attaccato sulla stampa, in Parlamento, e nel Paese. Se è difficile fare il governatore della Fed, è ancora più difficile fare quello della Banca centrale europea.
In aggiunta ai problemi comuni a tutti gli altri banchieri centrali, Mario Draghi deve preoccuparsi dei problemi politici di un'unione che non esiste, se non nella moneta. Questo vuoto istituzionale, costringe Draghi a fare quello che nessun banchiere centrale vuole mai fare: sostituirsi all'autorità politica. Per capire le mosse di Draghi, bisogna capire i suoi dilemmi. Come governatore della Bce, Draghi non deve preoccuparsi solo della politica monetaria tradizionale, ma anche della sopravvivenza dell'euro. Questa sopravvivenza oggi è minacciata dal rischio di default di Spagna e Italia. Se l'anno scorso si poteva affermare con certezza che l'Italia era a rischio per colpa della sua politica, oggi questo è più arduo. Pur con tutte le sue limitazioni, è difficile immaginare un governo più rigoroso di quello di Monti. Perché allora l'Italia a metà luglio pagava uno spread sui Bund tedeschi superiore ai 500 punti?
La maggior parte dei politici italiani ed europei ritiene si tratti della speculazione malvagia. I più sofisticati invocano il rischio di equilibri multipli. Quando uno Stato sovrano ha un livello di debito molto elevato, la paura di un default diventa autorealizzantesi: i dubbi fanno aumentare i tassi di interesse che uno Stato deve pagare sul mercato, aggravando il deficit e spingendo un Paese verso il default. Io penso che si tratti del rischio associato al l'incertezza politica nel lungo periodo. Se in questo momento l'Italia sta facendo tutto il possibile, ci sono fondati dubbi su cosa succederà dopo le elezioni del 2013. In tutti e tre i casi, però, il dilemma è lo stesso: o la Banca centrale interviene o l'Italia fallisce.
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Per tranquillizzare i mercati, però, non basta un intervento limitato. Draghi ci ha provato a dicembre con i finanziamenti a più lungo termine (longer-term refinancing operations o Ltro). I 500 miliardi offerti alle banche hanno allentato la pressione per qualche mese, ma non hanno risolto il problema. L'unico modo per risolverlo è un impegno preciso della Bce a comprare quantità illimitate di titoli dei Paesi a rischio.
Purtroppo questo impegno distrugge qualsiasi disciplina di mercato. In assenza di un'unione politica, l'Europa ha fatto affidamento sul mercato per forzare i governi alla disciplina fiscale. Il famoso patto di stabilità, deciso a livello europeo, è stato costantemente violato da tutti (Germania compresa). Se la Grecia, l'Italia, la Spagna, il Portogallo e l'Irlanda hanno fatto importanti riforme non è per le pressioni venute da Bruxelles, ma per quella venuta dal mercato. Come è possibile tranquillizzare i mercati senza distruggerne la disciplina?

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