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Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2012 alle ore 19:09.
L'ultima modifica è del 12 settembre 2012 alle ore 08:42.

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Chris Stevens, l'ambasciatore Usa ucciso nell'attentato. (Reuters)Chris Stevens, l'ambasciatore Usa ucciso nell'attentato. (Reuters)

Mentre da Tripoli arrivano le scuse di Mohammed Yussef Magariaf, capo del governo ad interim, il segretario di stato, Hillary Clinton ricorda chi era il diplomatico ucciso: «Mentre esplodeva il conflitto in Libia, Chris è stato uno dei primi americani impegnati sul terreno a Bengasi. Ha rischiato la sua vita per aiutare il popolo libico a costruire le fondamenta di una nazione nuova e libera. Da allora aveva lavorato ogni giorno al completamento del lavoro che aveva iniziato». Aggiunge Clinton: «Era impegnato nell'affermazione dei valori e degli interessi dell'America, anche quando questo comportava pericoli per la sua persona. Condanniamo questo attacco odioso e violento che ha messo fine a quattro vite dedicate ad aiutare il popolo libico ad ottenere un futuro migliore».

Tensione anche in Egitto dove sempre ieri una folla composta per lo più da salafiti manifesta contro l'ambasciata Usa, depone la bandiera americana e fissa un'insegna islamica. E dove si uniscono al coro sdegnato anche i Fratelli Musulmani che lanciano un appello a manifestare contro "gli insulti" all'Islam. Washington diffonde un allarme sicurezza ai suoi concittadini al Cairo e alza il livello di allerta anche nelle rappresentanze in Algeria e Tunisia.

Chi è Chris Stevens
Stevens, 52 anni, californiano, studi a Berkeley, è stato rappresentante americano presso il Consiglio nazionale di transizione a Bengasi durante la rivoluzione che ha rovesciato il regime di Gheddafi. Alle spalle numerosi incarichi diplomatici in Medio Oriente e Nord Africa, parlava arabo e francese: durante la sua carriera è stato inviato a Riad, Cairo, Damasco e Gerusalemme. Durante una recente cerimonia a Tripoli, ha detto: «Le relazioni tra i governi sono importanti, ma sono le relazioni tra i popoli il vero fondamento della comprensione reciproca».

Proteste per il film al Cairo, Teheran e Kabul
Se la tesi della rappresaglia fosse confermata, sarebbe la stessa azione eclatante per lo stesso film nel giorno dell'anniversario degli attacchi dell'11 settembre: L'Innocenza dei musulmani ha infatti scatenato anche la piazza del Cairo e oggi la condanna dell'Iran: il portavoce del ministero degli Esteri Ramin Mehmanparast ha condannato sia il film contro «il profeta Maometto» e «le sacre figure dell'Islam» sia gli Stati Uniti che «hanno una responsabilità morale diretta per fermare la pericolosa diffusione dell'odio culturale e degli oltraggi alle figure sacre per i musulmani». Critica il film anche il presidente afghano Hamid Karzai che lo definisce «un insulto al grande profeta dell'Islam e ai valori di 1,5 miliardi di musulmani in tutto il mondo» in una dichiarazione che non menziona la morte dell'ambasciatore. Il governo di Kabul decide poi di bloccare Youtube, mezzo di diffusione dei trailer del film.

Il pastore americano anti-Islam ricercato in Egitto
In questa vicenda dai contorni sovranazionali, si inseriscono anche il pastore fondamentalista Terry Jones, il presidente della National Assembly coptic America Maurice Sadek e altre otto persone che da oggi sono ricercate in in Egitto per il loro coinvolgimento nell'«Innocenza dei musulmani», riferisce l'agenzia Mena. Il pastore Jones, uno dei principali promotori del film, è colui che nel 2010 annunciò di voler bruciare alcune copie del Corano innescando proteste in tutto il mondo arabo. Il pastore Jones ha detto che di voler mostrare uno spezzone di 13 minuti nella sua chiesa di Gainesville, in Florida.

Il film
Il regista e produttore Sam Bacile definisce «l'Islam un cancro. La pellicola un film politico, non religioso». Al Wall Street Journal ha spiegato il senso del suo lungometraggio di due ore, costato circa 5 milioni di dollari ottenuti - ha spiegato Bacile - grazie alle donazioni di un
centinaio di persone di origine ebraica. Realizzata in circa tre
mesi nell'estate del 2011 in California, alla pellicola hanno lavorato circa 60 attori e uno staff tecnico di 45 persone. Obiettivo del film - che dà una versione satirica della vita di Maometto - è presentare il personale punto di vista del regista, secondo il quale «l'Islam è una religione piena
d'odio». Sembra però che i membri dello staff del film non sappiano chi abbia doppiato il film in arabo, contribuendo così a scatenare le proteste in Egitto e Libia e ora anche in Iran e Afghanistan.

Film/ L'innocenza dei musulmani: i passaggi controversi

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