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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2012 alle ore 08:05.
Gli investimenti infrastrutturali sono indispensabili per integrare l'economia europea, per aumentare la sua competitività, per ridurre la disoccupazione che nella Ue ha raggiunto i 25 milioni di persone, per dare speranze ai giovani, per migliorare la qualità di vita delle popolazioni. Queste politiche rientrano negli obiettivi delle Istituzioni europee che puntano ad uno sviluppo «intelligente, sostenibile ed inclusivo», molto attente ad una crescita rispettosa dell' ambiente e del territorio.
Questi problemi sembrano però passati in secondo piano nei quasi cinque anni della crisi dominati dal problema dei debiti sovrani, degli spread e dalle riforme nelle politiche di bilancio, pur necessarie, della eurozona. Problemi la cui risoluzione non basta perché senza politiche per gli investimenti in infrastrutture la Uem non uscirà dalla crisi finanziaria e la Ue non rimarrà competitiva a livello internazionale contribuendo anche ad uno sviluppo mondiale, dove la povertà è ancora prevalente, con modelli sostenibili diversi da quelli del XX secolo.
Malgrado l'apparenza, alcune di queste questioni sono tuttavia rimaste in agenda presso le istituzioni europee anche durante la crisi. Esse hanno infatti continuato a lavorare per una Ue della «economia reale» che procede, sia pure lentamente, ma su cui s'informa poco l'opinione pubblica. Per questo, anche in Italia, è necessario riattivare e riallineare l'attenzione del Governo e delle forze sociali, imprenditoriali e sindacali, ma anche della ricerca applicata e della tecnoscienza, sui temi delle infrastrutture europee. Ci vorrebbe al proposito una "task force" pubblico-privato italiana magari appoggiata alla Cassa Depositi e Prestiti.
Nei dieci anni passati la spesa in infrastrutture europee è andata calando, anche perché i singoli Stati sono poco inclini agli investimenti transeuropei. È aumentata invece la regolamentazione per rendere operativo il mercato unico. Lo stesso non potrà tuttavia essere realizzato appieno se mancano interconnessioni infrastrutturali tra Stati, tra centri e periferie della Ue.
Per superare queste barriere le Istituzioni europee hanno predisposto il mega-progetto «Connecting Europe Facility» (Cef) per aumentare ed accelerare gli investimenti nei «Trans-European networks» (Ten) mobilitando finanziamenti pubblici e privati. Cef e Ten nell'economia reale europea pesano tanto quanto Bce e Spread nella economia monetaria e finanziaria . Nell'ambito del mega-progetto Cef-Ten, che rientra nella Strategia «Europa 2020» e nel bilancio Ue fino al 2020, sono state identificate tre grandi filiere di investimenti infrastrutturali che è bene richiamare.
Per l'energia (Ten-E) si stima una necessità di investimenti per mille miliardi di euro entro il 2020. Lo scopo è: promuovere l'integrazione del mercato energetico e la interoperabilità delle reti elettriche e del gas interne alla Ue; evitare che qualche Stato o qualche area sia ai margini delle reti europee; promuovere le energie rinnovabili e non inquinanti integrandole nella rete europea; aumentare l'efficienza energetica e la sicurezza delle forniture per la Ue. I progetti sono accompagnati da grande attenzione agli aspetti autorizzativi da un lato per ridurre i tempi e dall'altro per aumentare l'accettazione dei cittadini europei. Vengono individuate 12 Ten-E strategiche di cui 8 interessano anche l'Italia.
Per i trasporti (Ten-T) si stima una necessità di investimenti per 1500 miliardi di euro tra il 2010 al 2030 di cui 500 almeno entro il 2020 per completare le infrastrutture merci e passeggeri esistenti con interventi per alta efficienza ed emissioni contenute e quindi con scopi non dissimili da quelli per l'energia. Ben diversamente da quanto sperano gli "auto-dipendenti" e da quanto temono gli "auto-avversi", il Ten-T riguarda soprattutto ferrovie, vie navigabili interne e trasporti marittimi, porti, aeroporti e sistemi di trasporto aereo, nodi urbani. La Ten-T è strutturata in «rete globale» da realizzare entro il 2050 e in «rete centrale» per realizzare entro il 2030 i collegamenti multimodali. I corridoi della rete centrale sono 10 e l'Italia è direttamente interessata da quattro.
Per le telecomunicazioni( Ten-Bda), dove Bda sta per Broadband e Digital Agenda, si stima una necessità di investimenti per 270 miliardi di euro per connettere con banda larga veloce o ultraveloce gli operatori individuali, aziendali e pubblici entro il 2020. In particolare le connessioni transeuropee pubbliche ad alta velocità (compresa l'assistenza sanitaria on line, l'identità elettronica, gli adempimenti elettronici). In sintesi si punta ad un collegamento europeo generalizzato a 30 Mbps e di 100 Mbps per almeno il 50% dei nuclei famigliari. È evidente che la Ten-Bda è anche essenziale per le altre due Ten.
Di fronte a progetti apparentemente così imponenti si pongono molti problemi tra i quali quello del loro realismo anche con riferimento al finanziamento. Stando alla proposta della Commissione per il Cef, il sostegno diretto della Ue e gli strumenti finanziari con garanzie pubbliche potrebbero avere un effetto moltiplicatore di finanziamento dal mercato da 1 a 15 o addirittura da 1 a 20. A prima vista paiono stime ottimistiche. Bisogna però tenere conto sia dell'enorme liquidità internazionale sia del fatto che la stessa, se non verrà convogliata su progetti reali a lungo termine, potrà causare nuove bolle speculative ed inflazione. Le infrastrutture transeuropee, alle quali dedicheremo alcuni articoli, rappresentano perciò la priorità dell'economia reale per la Ue.
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