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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2012 alle ore 08:02.

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Caro Direttore, ho apprezzato il suo editoriale di ieri. Il tema di un riassetto delle autonomie in Italia c'è tutto. Non c'è dubbio che sotto l'offensiva culturale e politica della Lega degli anni 90 in favore del secessionismo, ci sia stata una iniziativa legislativa, anche da parte del centro-sinistra.

Questa iniziativa ha avuto aspetti positivi da non dimenticare, ma anche aspetti non coerenti, e talvolta anche scomposti, in materia di decentramento.
La riforma del Titolo V ha avuto almeno un paio di difetti. Innanzitutto non ha fissato un equilibrio bilanciato tra le responsabilità delle autonomie e il ruolo dello Stato. Sono stati sovrapposti poteri e competenze ed è esplosa la legislazione concorrente, rendendo difficile la vita a cittadini e imprese, aumentando costi e inefficienze, intasando di contenziosi la Corte costituzionale.
Gran parte di questi problemi sono stati il frutto di una attribuzione delle varie competenze più in una chiave giuridica che nella consapevolezza della realtà organizzativa delle singole materie. Faccio solo l'esempio dell'energia: vedendo come sono state ripartite le competenze si capisce bene che chi ha fatto la riforma non sapeva come funzionano i fili elettrici.

Il secondo difetto del Titolo V è stato nella mancanza di una visione e di un disegno organico di riforma. Non si è visto che il sistema doveva avere una coerenza d'insieme.
L'Italia oggi ha più di ottomila Comuni, un livello amministrativo intermedio da ripensare radicalmente, le aree metropolitane da interpretare, mentre continua a mancare una Camera delle autonomie. In questo ambito le Regioni hanno finito spesso per riproporre una centralizzazione a livello periferico, hanno acquisito un ruolo troppo esclusivamente gestionale, hanno in diversi casi smarrito la strada di un corretto ed equilibrato rapporto tra presidenti e Consigli regionali. Un fattore, quest'ultimo, esemplificato da quella definizione orribile di governatore attribuita nel linguaggio comune al presidente della Regione. Io mi sarei offeso se mi avessero chiamato governatore.

La nostra proposta, allora, è di mettere mano a una riforma organica dell'intero sistema nel quadro della revisione della seconda parte della Costituzione. Stavolta però in modo effettivo ed esigibile. All'inizio della prossima legislatura bisogna dar vita a uno strumento di rango costituzionale che abbia come suo obiettivo l'elaborazione di un disegno complessivo di riforma, che intervenga su tutti i livelli di governo.
Mentre si lavora a questo intervento complessivo, intanto, è possibile anche una ricerca di efficienza e di razionalizzazione più immediata. Ho apprezzato il segnale che hanno voluto dare ieri le Regioni in termini di sobrietà della politica, con proposte concrete di taglio dei costi e di semplificazione. È una strada che va percorsa subito e con decisione, utilizzando anche gli strumenti a disposizione del governo.

Un ultimo punto: il riassetto più complessivo del sistema delle autonomie non deve tradursi in una nuova centralizzazione. Il pendolo non deve passare da un estremo all'altro. Serve una riforma razionale che ricerchi l'efficienza in un giusto equilibrio. Non possiamo lasciare il centro impotente davanti ad evidenti segnali di scollatura che arrivano dalla periferia, ma non possiamo neppure dare compiti gestionali al centro. Il centro deve poter stimolare, e se necessario arrivare ad imporre, le migliori pratiche regionali, svolgendo un ruolo di supporto per far fare passi in avanti al sistema.
Si prenda la Sanità. Nel complesso quella italiana, pur con tutti i problemi, è considerata tra le migliori nel mondo, tenuto conto del rapporto tra costi e benefici. Però c'è una profonda distanza nella qualità dei servizi tra le diverse Regioni. Il ruolo del centro qui non può certo essere quello di gestire gli ospedali da Roma, ma deve poter intervenire per garantire che tutti i cittadini italiani godano dei migliori servizi e delle migliori pratiche già sperimentate in molte aree del Paese.

Quello che vale per la sanità, deve valere per qualunque altra materia. Servono risposte funzionali settore per settore. Perciò la prossima volta, quando si rimetterà mano a tutto questo, chiameremo sì i giuristi a dare una mano, ma dovranno dire la loro anche gli esperti di ogni singola materia. E dalla nostra capacità di ascoltarli dipenderà l'efficacia di una revisione profonda che deve avere il cittadino e l'impresa al centro delle nostre preoccupazioni.

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